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I 5 Petali di Orfeo

Orfeo, Gran Maestro dell’Ordine di Antares, formulò il suo Insegnamento dei 5 Petali ad Atlantide in un momento imprecisato della sua gloriosa storia. Come trovate sia su Platone nel Baltico che su Cronache del Dominio, la natura simbolica dei “9.000 anni” di Platone è stata dimostrata incontrovertibilmente, mentre da altre fonti si può dedurre l’estensione del periodo atlantideo dal 5.000 a.C. circa (fondazione) al 2.193 a.C. (sconfitta nella guerra contro i Greci guidati dall’Atene-baltica, oggi Karlskrona). La nazione, costituita inizialmente nello Jutland, si era estesa progressivamente alla Pomerania (compresa l’isola di Rügen che ne ospitò la capitale), alla Scandinavia meridionale e alle Sette Isole del Mare d’Occidente (tra cui l’Islanda, la Groenlandia e Baffin). Quando i Celti e i Germani (originari della Scizia) raggiunsero le terre del nord europeo nel 2.756 a.C., assorbirono l’insegnamento di Orfeo nel loro “Seiðr”, ricordando il maestro con il nome di Zalmoxis.

Non è rimasta precisa memoria dell’Insegnamento dei 5 Petali, ma vi sono indizi sulla sua somiglianza con il più recente pensiero buddista. Abbiamo perciò proposto una sua ricostruzione, attingendo anche al saggio esperienziale di G. Gotto Profondo Come il Mare, Leggero Come il Cielo.


I 5 Petali di Orfeo

1° Petalo: Non azione, primo significato. La più grande difficoltà quando si è in attesa è restare fermi. Seduti ad un tavolo, se non stiamo bevendo né parlando, se siamo soli, ci sentiamo in imbarazzo. Lo stesso in fila alle poste o in qualunque luogo che non sia appositamente concepito per la riflessione o la preghiera. Da un lato temiamo il giudizio degli altri, verso la nostra solitudine o verso il nostro sguardo che potrebbe apparire indagatore e inopportuno. Oppure verso la nostra inattività, talvolta tradotta in pigrizia od irresponsabilità. Peggio se non riusciamo ad ascoltare e ad accettare i nostri pensieri, se dobbiamo per forza sfuggirgli. Il che equivale a non accettare la nostra situazione presente, l’unica peraltro che esiste per davvero e dalla quale dobbiamo inevitabilmente cominciare per migliorare la nostra esistenza. Perciò rigiriamo le dita, cerchiamo un giornale, facciamo scrolling compulsivo sul telefonino, ordiniamo da bere anche se non ne abbiamo voglia. Nessuna delle due ragioni è nobile. Il timore del giudizio altrui nasce spesso dalla nostra abitudine al giudizio, e comunque ci costruisce una gabbia tutt’intorno che placa la nostra iniziativa ogni volta che abbiamo il sospetto di non soddisfare le aspettative della società, della famiglia o del nostro gruppo sociale. Placare la nostra iniziativa (al pari di costringerci ad agire controvoglia) è la principale fonte della nostra sofferenza. Infine, nell’altro caso, rifiutare i nostri pensieri e la realtà delle cose, ci preclude ogni possibilità di sviluppo e di realizzazione. E la non realizzazione del proprio potenziale è, in ordine di importanza, la seconda fonte della nostra sofferenza. Dobbiamo perciò accettare ed imparare a godere della pace e della solitudine quando ci si presenta l’occasione, senza rifiuto né eccesso.

1° Petalo: Non azione, secondo significato. «Praticare la non-azione significa anche imparare a fare un passo indietro. Non tutto quello che accade intorno a te richiede una tua reazione. Osserva attentamente le situazioni che si vengono a creare e, se il tuo intervento non è strettamente necessario, non agire. In questo modo non sarai sempre distratto e stressato. Potrai concentrarti su quello che conta davvero. Non-agire significa inoltre evitare di farti coinvolgere in ogni discussione, ogni problema, ogni situazione. La tua vita si complica terribilmente quando vuoi aiutare chi non vuole farsi aiutare, consigliare chi non ha chiesto consiglio, risolvere problemi che non puoi risolvere. Concentrati su te stesso, sulle tue domande senza risposta» [Gotto 2023, p. 165].

2° Petalo: Non desiderio. «Il non-desiderio conduce a non avere sempre così tante aspettative su tutto ciò che fai. Le persone non sanno cosa vogliono perché vogliono troppo. E vogliono che questo “troppo” sia perfetto. Ma le relazioni perfette non esistono. Non esistono lavori, luoghi e situazioni perfette. Quindi, rilassati. Non puoi sapere se quella serata con quella ragazza andrà bene, se quell’esame andrà male, se il tuo cane avrà fatto il bravo o ti avrà distrutto la casa mentre eri al lavoro. E va bene così. Osserva le tue mille preoccupazioni sul futuro: che cosa sono se non illusioni? D’altronde, la stragrande maggioranza delle cose che ti preoccupano poi non si realizzano. La vita non è l’immagine mentale che crei del futuro. La vita è qui e ora» [Gotto 2023, p. 165]. Considera inoltre che sul futuro non hai controllo, e non ha alcun senso preoccuparsi di qualcosa che non è possibile controllare. Fai quello che puoi senza essere maniacale, usa precauzioni ragionevoli, ma non cadere nell’ossessione. Quando ti accorgi che per controllare qualcosa stai rinunciando a vivere, fermati e lascia che le cose vadano come devono andare. Stare ora all’inferno per paura di finirci in futuro è paradossale. Certo, le compagnie assicurative e le campagne politiche aggressive tentano di convincerti che firmando una polizza o rinunciando ad una fetta (spesso non trascurabile) della tua libertà tu possa ottenere il controllo (o la scurezza) totale; ma è una menzogna, salvo che tu non ti abbassi a barattare la tua vita improntata sulla realizzazione del sé con un surrogato impostato sul principio stimolo-risposta, rinunciando ad ogni estrosità e accettando (nonostante il controllo) di permanere nella sofferenza. È infine importante avere sogni ed obbiettivi, ma non dobbiamo sceglierli con l’idea di accettare la sofferenza adesso nella convinzione di trovare la felicità ad obbiettivo raggiunto. Anche trascurando la possibilità di fallire, la felicità generata dal successo è effimera e dura quanto un battito di ciglia. L’importanza del sogno sta tutta nel cammino che esso comporta, ed è su questa base che dobbiamo sceglierlo, affinché ci sproni ad un viaggio piacevole. Dobbiamo scegliere in funzione del viaggio, non della destinazione.

3° Petalo: Non attaccamento. «Il non-attaccamento è la consapevolezza che possiamo, anzi, dobbiamo avere pensieri sul passato e sul futuro, ma dobbiamo porre un certo distacco tra noi e questi pensieri. Una mente meditativa pensa a quello che è successo sapendo che è successo e che non tornerà più; pensa a quello che potrebbe succedere con la piena consapevolezza che, finché non accadrà, non sarà altro che un’immaginazione. Non si identifica con ciò che ricorda o visualizza. Il faro che illumina è stato costruito nel momento presente. Lì è radicato» [Gotto 2023, p. 166]. Considerate inoltre che il nostro Universo è fondato sul principio dell’impermanenza. È naturale che due grandi amici a forza di piccoli cambiamenti finiscano per diventare incompatibili, e non c’è alcuna ragione per farne un dramma o cercare di adattare vecchi schemi a situazioni nuove. Così potremmo diventare inadatti ad un lavoro nel quale primeggiavamo, o perdere il gusto in attività che prima ci soddisfacevano. Anche in questo caso, l’unico atteggiamento ragionevole è guardare avanti ed aprirci alle opportunità del futuro. La situazione può essere scomoda per un momento, ma proprio l’impermanenza garantisce che non sarà così per sempre. Ci saranno momenti migliori anche solo per un fatto statistico, purché ovviamente non ci si immobilizzi. È importante ricordare che il primo passo non è mai per raggiungere la meta, ma per spostarsi da dove ci si trova. L’eccezionalità dell’amore (quello vero) non sta affatto nel mantenere abitudini e sentimenti invariati, ma nel farli evolvere nei due partner in maniera costantemente compatibile.

4° Petalo: Non giudizio. Non giudicare, lo dico per te. Se lo farai, tenderai a sopravvalutare l’importanza del giudizio, del tuo come di quello degli altri. Inizierai a supporre che gli altri ti giudichino e darai un peso enorme al loro giudizio, anche quando sarai solo tu ad immaginarlo. La tua energia nervosa, la tua agitazione, si trasmetterà attorno a te. Forse proprio questa “energia” renderà le persone inquiete portandole effettivamente a giudicarti. Se seguirai questa strada, ammazzerai la tua spontaneità, perderai la libertà, e non proverai più il tepore della serenità. «Non-giudizio significa non avere un’opinione su tutto ciò che accade. Non è necessario etichettare ogni singola cosa come giusta o sbagliata, bella o brutta, piacevole o spiacevole. Purtroppo i social network ci spingono a giudicare costantemente, a fornire opinioni non richieste. Ci chiedono “A cosa pensi?” scatenando il nostro egocentrismo. È così che si finisce a vivere troppo dentro le proprie riflessioni, nell’idea che si ha di sé stessi e nei dubbi su ciò che gli altri pensano di noi. Osserva la realtà e basta, senza farti trascinare dai pensieri giudicanti. Molte cose sono perfette così come sono» [Gotto, pp. 165-166].

5° Petalo: Non sé. «La tua mente ha costruito un’immagine di te stesso. Puoi chiamarla “sé”, “io”, “ego” o come preferisci. Questa immagine mentale contiene il tuo nome, il tuo passato, i tuoi pensieri, le tue credenze, le tue emozioni, il tuo aspetto fisico e molte altre cose che consideri tue. Quando qualcuno ti chiama o pensi a te stesso, questa immagine affiora nella tua mente. Ebbene, questo “sé” non è che un’illusione. Il “sé” è sempre diverso, e se è sempre diverso, come puoi dire che esiste? Tu, in questo momento e in questo luogo, non sei nemmeno la stessa persona che eri cinque minuti fa. Poco fa avevi pensieri diversi, sensazioni diverse. Dicevi cose diverse, facevi cose diverse. Eri seduto in un altro modo, quindi anche il tuo aspetto era diverso. Il tuo stato d’animo era diverso. Come puoi dire di essere la stessa persona? Ricordati l’impermanenza: la vita è un fiume che scorre. Tutto cambia, niente è mai uguale a sé stesso. Tu cerchi di assomigliare il più possibile alla tua immagine mentale. Ma questa è solo un’idea: non è reale. E infatti ci saranno delle volte in cui ti consideri valoroso e delle altre in cui ti consideri debole, sconfitto. Se il tuo “sé” cambia continuamente non può essere reale. I tuoi pensieri cambiano, le tue emozioni cambiano, cambiano il tuo aspetto, la tua età, la tua esperienza, il tuo atteggiamento e le tue idee… Se elimini questi elementi che ritieni essere tuoi, con cui ti identifichi e che non riesci a lasciare andare, che cosa rimane di te? Quando rimuovi il “sé”, ti rimane tutto. L’intero Universo. Questo è ciò che sei. Se crediamo di avere un “sé” permanente, ci attacchiamo a questa idea e ci identifichiamo con le nostre esperienze, i nostri pensieri e le nostre emozioni. Questo può causare sofferenza, poiché ciò che chiamiamo “sé” è in realtà soggetto a cambiamento e non è permanente. Noi vorremmo che lo fosse, ma non lo è. Da questo contrasto tra desiderio e realtà nasce un dolore esistenziale, che però possiamo evitare. L’uomo tende a porsi al centro di tutto e quindi a fare del proprio “sé” un baluardo da difendere a ogni costo. È attraverso l’ego e il suo costante giudizio e confronto che conosce la realtà» [Gotto 2023, pp. 185-190]. Se rinunci a difendere la tua immagine, puoi concederti il lusso di essere libero. Puoi compiere scelte sulla base unica del tuo benessere, senza pensare a cosa ne pensino gli altri. Puoi abbandonare quel lavoro snervante che ti toglieva tempo e salute, ma che tenevi per il denaro e lo stile di vita che ti permetteva di sfoggiare. Puoi correre nei prati di notte, a piedi nudi ululando alla Luna, se solo lo desideri, perché non ti importa di alcun giudizio.

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