Una volta stabilizzata la situazione in Palestina, intorno al 1.150 a.C., Giosuè (erede militare di Mosè) assegnò ai suoi fedelissimi il territorio di Gerico, ma essi rifiutarono per ritirarsi nel deserto e vivere sotto le tende tra Gerico ed En-Gadi. Identificati sotto il nome Daniti[1], nel IX secolo a.C. essi costituirono inoltre una comunità in Galilea, erigendo un tempio-monastero sul monte Carmelo.
Una buona metà era tuttavia talmente disgustata dai dissidi sorti con le restanti tribù[2] che preferì migrare verso nord, nel Curdistan, insediandosi in particolare nella vecchia Sciamiramagard (che essi battezzarono “Dan” e che oggi è Van), oltre che nella cosiddetta “Isola dei Beati”, al centro del lago Sevan (oggi sommersa). Qui presero nome di “Recabiti” in onore di Rechab, figlio di Eliezer, figlio di Mosè.
Alcuni testi del XIX secolo fanno riferimento ai Daniti come Assidei/Assidii o Cassidii/Cassiti, descrivendoli come una delle più antiche corporazioni muratorie, presente in Palestina già al tempo di Salomone e coinvolta nell’edificazione del Primo Tempio (IX secolo a.C.).[3] Gli Assidei – sostengono – sarebbero stati depositari di un’antichissima scienza sacra che tramandavano attraverso le loro opere, sotto la guida del leggendario architetto Hiram Abif. Così leggiamo ad esempio in un saggio del 1875 intitolato Rivelazioni Storiche sulla Massoneria:
<Hiram, nel tempio che costruì [il Tempio di Salomone], pose i simboli usati dalla sua associazione. Le colonne Jachin e Boaz stavano ai due lati delle porte del tempio, ed ivi ricevevano il loro salario gli apprendisti e i lavoranti. Il vaso lustrale era sostenuto da dodici buoi, quanti i mesi dell’anno, disposti a gruppi di tre, quanto il periodo delle stagioni. Le sette luci rappresentavano i sette pianeti, o meglio i sette capi dell’Ordine. I settanta pezzi del candelabro significavano le divisioni delle costellazioni, o meglio la mistica compagine dell’ordine stesso, e via discorrendo. Gli operai che egli adunava, disciplinati e obbedienti, ad un solo suo segno si dividevano in Maestri, Lavoranti ed Apprendisti. Dei primi stabilita una [cerchia] eletta, fu questa posta alla custodia del tempio, e le fu data la denominazione di Cassidi o Assidei, o Kadosc, ossia Sacri cavalieri. Da essi più tardi discesero gli Essenii.>[4]
Alcuni membri della fratellanza si sparsero…
<… in Asia Minore e in Grecia, intrecciandosi con le altre diramazioni dei Misteri Cabirici perfezionati [dacché si suppone una coordinazione dalla Fratellanza Bianca Tebana, dalla Confraternita Babilonese di Sarmoung o dall’Ordine di Melchisedek presso il Lago Bajkal]. Assunsero quindi le denominazioni di Compagni di Attalo in Asia e di Operai Dionisiaci in Grecia. Gli stessi portarono i loro statuti pure a Roma, e vissero vita prospera sotto la protezione delle leggi romane: riconoscendo i loro due gradi – Collegio degli Architetti e Collegio degli Artefici, suddivisi all’interno in altri gradi più variati -, gli ordinamenti dell’Urbe riservarono agli Assidei l’erezione dei templi e degli edifici pubblici.>[5]
Fu il secondo re, Numa Pompilio, a istituire a Roma i Collegi degli Artefici (Collegia Artificum), al cui vertice egli pose i Collegi Architettonici (Collegia Fabrorum). I primi membri di questi corpi venivano dalla Grecia (precisamente dall’Attica), invitati da Numa appositamente per l’organizzazione dei collegi.[6] Questi furono affidati alla protezione di Giano, il mitico Re del Lazio che accolse il titano Saturno accettando di condividergli la regalità e i benefici dell’Età dell’Oro. Non è chiaro se tali associazioni fossero dapprincipio accostate al culto di Saturno (Moloch o Baal in Palestina) o se vi approcciassero dopo l’esportazione in Grecia e in Italia.
Tradizionalmente si pone l’operazione di Numa al 714 a.C., e tuttavia è ben noto che la fondazione di Roma – e di conseguenza tutti gli eventi datati Ad Urbe Condita) – fossero stati anticipati al fine di avvicinarli alla fondazione della rivale Cartagine (814 a.C.). Tanto è vero che nella Vita di Numa (parte delle Vite Parallele), lo storico Plutarco pone il sovrano tra gli allievi di Pitagora a Crotone. Considerata l’esistenza su questo piano del filosofo samio dal 575 al 495 a.C., potremmo supporre uno spostamento di tutte le date all’indietro di circa 200 anni.
Asceso al trono all’età di quarant’anni, il regno di Numa si porrebbe perciò all’intorno del 500 a.C.. Ne consegue che eventi accaduti in quegli anni sarebbero stati associati a un sovrano successivo, ovvero a colui che avrebbe regnato nel 500 a.C. secondo la “nuova cronologia”: il despota Lucio Tarquinio. Inferiamo che sarebbe stato Numa (e non Tarquinio) a incontrare la Sibilla Cumana, a ricevere i Libri Sibillini e a istituire l’Ordine dei suoi custodi: i Duoviri Sacri Faciundis. In tal caso, la consigliera di Numa, la “sibillina” Egeria, sarebbe appunto la Sibilla Cumana. E i libri sepolti con il re nel Gianicolo e successivamente bruciati in quanto “pericolosi” sarebbero ancora i Libri Sibillini.[7]
L’evenienza che Numa fosse sabino (originario di Cures), esponente perciò di un popolo cugino a quello ebraico (Ebrei e Sabini venivano entrambi dagli Hyksos), unita ai rapporti coi pitagorici (di cui si attestano i contatti, se non un vero coordinamento, con la comunità essena), ne fanno in effetti il sovrano più adatto all’instaurazione di un Ordine simile a Roma.
Nel 367 a.C. la Lex Licinia Sextia portò i membri dei Sacri Faciundis a quindici, rinominandoli Quindecemviri Sacri Faciundis. Nel I secolo il filosofo Seneca era uno di questi, il ché suggerisce in primo luogo che ereditasse il mandato di Numa, in secondo che gli Assidei romani costituissero una scissione ostile e reietta degli Esseni palestinesi. Altrimenti non sarebbe seguito lo scontro tra i farisei mobilitati da Seneca (gli Ebrei del Patto) e i Desposyni guidati da Giacomo di cui abbiamo detto in altre pubblicazioni.[8] (Cfr. I Leader di Israele.) Scontro protrattosi ai primi anni del XVIII secolo.
Un contributo ai Collegi Romani potrebbe ricondursi inoltre ai Daniti del Lago Sevan. Questi si trovavano entro il Regno di Urartu (oggi Armenia), costituito nell’860 a.C. da quegli stessi Shardana che erano venuti in Libano nel 1200 a.C., dopo l’epidemia di malaria in Sardegna. I sovrani di Urartu erano detti “Sari” o “Seri”, la cui radice “Shar” (lett. “principe”) è la stessa che trasforma “Dan” in “Shardana” (lett. “principi di Dan”). Dacché il geografo alessandrino Tolomeo (100-180 d.C. ca.) adottò lo stesso appellativo, “Seri”, in riferimento alla fratellanza ivi installata.
Nella Geografia, Tolomeo attribuisce ai Seri l’edificazione in Asia della città di Iskedin (Issedon), il ché si allinea curiosamente con la presenza ancora oggi di diversi siti denominati Edinisk (Udinsk) sulle rive del fiume Selenge e dei suoi affluenti, non molto a sud del Lago Bajkal. Edin-Isk è l’inverso di Isk-Edin, e come detto altrove era usanza presso le antiche fratellanze invertire le sillabe per indicare gli stessi concetti o concetti similari.[9] Di nuovo torna l’idea di un coordinamento da parte dell’Ordine di Melchisedek installato sul Bajkal.
Nell’VIII secolo alcuni principi di Urartu si spostarono in Etruria (Toscana e Alto Lazio) spaventati dagli attacchi degli Assiri e richiamati dalle nuove miniere appena scoperte nella regione italiana. Qui avrebbero accelerato la formazione della cultura etrusca, divenendo coloro che i Romani chiamavano princeps, con possibile riferimento al già citato “Shar”.
Nei princeps affondano le radici della Gens Claudia, che diede a Roma gli imperatori Tiberio, Caligola, Claudio e Nerone (dal 14 al 68 d.C.). Il capostipite, Clauso, aveva installato la propria famiglia a Caere (odierna Cerveteri) finché nel 504 a.C. il suo discendente Attus Clausus (romanizzato in Appio Claudio) si trasferì a Roma con il proprio seguito di parenti, amici e ben 5000 clientes, a ciascuno dei quali furono assegnati due iugeri di terreno (equivalenti a circa mezzo ettaro). Allo stesso Appio Claudio, che fu subito accolto nel patriziato romano, furono assegnati venticinque iugeri. Siamo di nuovo entro il regno di Numa Pompilio.
[1] I Daniti, noti anche come “Tribù di Dan”, integravano elementi della famiglia mosaica ed ex guerrieri mercenari di etnia shardana. Secondo Manetone, Mosé sarebbe stato infatti coordinatore delle truppe mercenarie shardana installate a Goshen, nella regione orientale del Delta, con le quali avrebbe raggiunto un’intesa fraterna. Una volta conquistata Canaan, i Daniti avrebbero costituito due comunità monastiche, rispettivamente nel deserto palestinese tra Gerico ed En-Gadi, e sull’“Isola dei Beati” nel Lago Sevan, oggi sommersa. Più tardi (nel 161 a.C.) i Daniti del deserto si sarebbero amalgamati con la colonia della Fratellanza Bianca sul Mar Morto (a Qumran), divenendo coloro a cui normalmente ci si riferisce come “Esseni”. Cfr. D. Marin, Breve Storia degli Illuminati, SoleBlu 2022, p. 32.
[2] Poiché Mosè era stato scelto da Dio per trasmettere al popolo la Legge, si stabilì inizialmente che la carica di sommo sacerdote spettasse in eterno alla sua discendenza. Tuttavia i più giovani tra gli Israeliti ritenevano poco opportuno affidare tale incarico (che includeva la custodia dell’Arca dell’Alleanza) a coloro nelle cui vene scorreva sangue egizio. Infine, pur non ottenendo la destituzione dall’incarico, la protesta condusse nondimeno alla revisione delle genealogie ufficiali, di modo che nei registri del Tempio i discendenti di Mosé figurassero (falsamente) discendenti di suo fratellastro Aronne. Da allora al termine “Daniti” si preferì il più neutro “Leviti”.
[3] L’Umanitario Giornale Massonico, Anno I, Edizione II, Palermo, 1867. Cfr. anche F. T. e B. Clavel, Storia della Massoneria e delle Società Segrete, Gherardo Casini 2010.
[4] M. G. da C., Rivelazioni Storiche su la Massoneria, Edizione II, Tipografia G. Faziola e C., Firenze, 1875, p. 29.
[5] M. G. da C., Rivelazioni Storiche su la Massoneria, op. cit., p. 31.
[6] F. T. e B. Clavel, Storia della Massoneria e delle Società Segrete, op. cit.
[7] Secondo Tito Livio (Ab Urbe Condita, Lib. XL) e Plinio il Vecchio (Naturalis Historia, Lib. XIII), i libri furono scoperti casualmente nel 181 a.C. quando un contadino, scavando nel Gianicolo, trovò due casse di pietra: una contenente il corpo del re (ormai decomposto), l’altra i rotoli. In totale vi sarebbero stati 12 libri di diritto religioso e 12 di filosofia greca. Ritenuti pericolosi, su suggerimento del Senato le autorità romane ordinarono che i testi fossero bruciati.
[8] Cfr. Appunti di Storia Proibita, I.P. 2022, #12; e CoCreatori del Cosmo, I.P. 2024, App. C.
[9] Cfr. Appunti di Storia Proibita, I.P. 2022, #16; e Cronache del Dominio, I.P. 2024, p. 42.