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Manca Sempre l’Equilibrio

Imane Khelif VS Angela Carini

Nelle prime settimane di vita dell’embrione, siamo tutti femmine; lo spiega peraltro benissimo il primo Jurassic Park. Dopodiché, se presente il cromosoma Y, il nostro sistema endocrino produce un ormone che “trasforma” i genitali femminili in maschili. A volte però qualche cosa fallisce, giacché di questo ormone non ne viene prodotto abbastanza, o non viene assimilato a sufficienza. Così sei geneticamente uomo, ma i tuoi genitali sono femminili. Cinquant’anni fa, quando la società non prevedeva la libera espressione del sentire individuale, non era insolito che uomini sposassero uomini (geneticamente parlando) credendoli donne, scoprendone il genere effettivo solo quando i figli non arrivavano. Oggi è cambiata la società, ma non la natura, i cui ritmi sono notoriamente più lenti. Così il pugile algerino Imane Khelif è geneticamente uomo, ma i suoi genitali sono femminili. Allo stesso modo ha ricevuto un’educazione femminile ed è stato spronato a confrontarsi con le pari-età di sesso femminile, in un Paese quale l’Algeria in cui l’apparenza genitale era di certo preponderante sull’analisi del dna. Ora è nostro dovere metterci nei panni di questa persona che scopre tardivamente di essere qualcosa di diverso (per certi versi opposto) da quanto aveva creduto, contando anche il dramma di osservare il proprio corpo mentre assume forme “ibride”, con una conformazione ossea e muscolare maschile, in totale assenza di seno e con una folta peluria. È nostro dovere costringerci a sentire il dramma di costei in un gruppo di pari che certamente avrà posto domande, avrà deriso ed emarginato. Forse per reazione, Imane è diventata pugile.

Ora sarebbe opportuno che lei fosse accompagnata in un percorso psicologico che le permettesse di sentire e chiarire la propria identità, in vista eventualmente di un percorso ormonale che senza fretta le consenta di avere un aspetto fisico in armonia con l’identità infine da lei (e lei soltanto) riconosciuta. Purtroppo però nessuno vuole prenderla per mano, ma vogliono tutti usarla per la propria propaganda. I “woke” vogliono che rimanga nel mezzo, a rafforzare quel sentire caotico che rende l’individuo e la società tutta facilmente manipolabile, in cui si spacciano rinuncia e immobilismo per orgoglio (“pride”). I “fascisti” all’opposto vogliono che scompaia, perché nel loro mondo ideale l’imperfezione non esiste, e tutto quanto la richiami deve passare per il camino.

Nella fattispecie degli sport “di potenza”, si deve comprendere che la definizione di categoria passa per l’esame della struttura ossea e muscolare; perciò – se parliamo di boxe – Imane Khelif è senza dubbio un maschio e dovrebbe concorrere in una categoria maschile. “Senza dubbio” però per noi che non ne siamo coinvolti direttamente. Al contrario, non possiamo pretendere che lei ne diventi consapevole tutto d’un tratto e in maniera autonoma; per troppo tempo non le è stato concesso di riflettere e fare chiarezza. Sarebbe ovvio e pienamente giustificato che fosse confusa e arrabbiata.

Quanto alla sua avversaria, l’italiana Angela Carini, è altrettanto palese che non sia stata sconfitta dalla forza di Imane (che con altre donne aveva perso) ma dalla paura con cui è salita sul ring, di cui non avuto consapevolezza finché non ha ricevuto il primo pugno. Le polemiche dei giorni precedenti e le pressioni della squadra hanno fatto da censore, sicché la mancanza di elaborazione ha fatto crescere il panico a livello inconscio.

Quindi, a mio avviso, in questa circostanza hanno sbagliato tutti, e come sempre per mancanza di equilibrio (via di mezzo, temperanza). Una discussione pacata, che non avesse lo scopo di tirare le contendenti per la maglia, avrebbe permesso un match comunque più equilibrato. Ripeto, hanno contato più le forze sopite dall’attacco di panico che quelle accumulate dal testosterone. E se tale discussione pacata, lontana da scopi politici, ci fosse stata, forse fra quattro anni le stesse atlete XY avrebbero compreso che non si tratta di emarginazione od odio del diverso, ma di pure e semplici considerazioni sulla struttura scheletrico-muscolare, accogliendo senza contestazioni la richiesta di combattere come maschi.

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La Pace Incomincia dall’Utero

“La pace incomincia dall’utero”, seguendo Eva Reich

di Margherita Tosi

Contributo n.14 da E. Del Giudice, A. Giasanti, L. Marchino (a cura di),
Essere Umani: Prospettive per il Futuro, FrancoAngeli 2013

Le richieste che vengono fatte abitualmente agli psicoterapisti per l’in­fanzia riguardano i comportamenti disturbanti a casa e a scuola dei bambi­ni; il non raggiungimento delle abilità “normali” a quell’età, prima fra tutte il linguaggio e poi i vari apprendimenti. Ed è già gran cosa il fatto di rivol­gersi a psicoterapeuti e non a tecnici della riabilitazione, infatti in ogni mo­do la richiesta che viene fatta è di aggiustare, normalizzare i modi di es­sere inadeguati. Ci si preoccupa perché il bambino ha scarsa attenzione e quindi è stigmatizzato dalle istituzioni, non sta al passo con le aspettati­ve degli insegnanti e quindi sarà dislessico, disgrafico, discalculico, ecc. Si chiede al terapista di dare al disturbo il nome di una patologia, e una vol­ta fatta la diagnosi, se possibile, normalizzare o in ogni modo scaricare le istituzioni, famiglia e scuola da responsabilità. Se è una malattia, se poi si può dire che c’è una componente genetica tanto meglio, si faccia quel che si può (al bambino naturalmente) noi siamo anche benevolmente disposti a fare qualche cosa, ma fermiamoci qui e speriamo che col tempo il bambi­no “maturi”! Quasi mai si parla di felicità del bambino e quasi mai si va a cercare la causa profonda. Siamo noi psicoterapeuti che ci occupiamo delle cause antiche e in questo modo perdiamo il tempo che la povera scimmiet­ta potrebbe occupare ad allenarsi e a riallinearsi alle richieste di genitori ed educatori, senza perdersi in quisquilie come esseri umani felici.

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I Voladores

“Quelli che Volano”, ovvero i Padroni delle Eggregore

«Questa è l’ora giusta del giorno per fare ciò che sto per chiederti» continuò. «Ti ci vorrà solo un momento per impegnare l’attenzione necessaria. Non smettere finché non avrai visto l’ombra scura.»

E così fu: vidi una strana ombra scura proiettata sulle chiome degli alberi. Forse era un’ombra sola che si muoveva avanti e indietro, oppure erano più ombre che si spostavano da sinistra a destra e da destra a sinistra, o ancora verso l’alto. Assomigliavano a giganteschi pesci neri. Era come se un enorme pesce spada stesse volando nell’aria. Quello spettacolo finì per spaventarmi. Diventò troppo buio per vedere le foglie, ma riuscivo ancora a distinguere le fluttuanti ombre scure.

«Cosa succede, don Juan?» chiesi in ultimo. «Vedevo ombre scure dappertutto.»

«Ah, non è altro che l’universo. Incommensurabile, non lineare, esterno al dominio della sintassi. Gli sciamani dell’antico Messico furono i primi a scorgere quelle ombre e decisero di occuparsene. Le videro come le vedi tu adesso e le videro come energia che fluisce nell’universo. E scoprirono qualcosa di trascendentale.» Tacque e mi guardò. Le sue pause avevano un tempismo perfetto. Si interrompeva sempre lasciandomi appeso a un filo. «Che cosa scoprirono, don Juan?» lo sollecitai. «Scoprirono che abbiamo un compagno che resta con noi per tutta la vita» rispose. «Un predatore[1] che emerge dalle profondità del cosmo e assume il dominio della nostra vita. Gli uomini sono suoi prigionieri. Il predatore è nostro signore e maestro e ci ha resi docili, impotenti. Se vogliamo protestare, soffoca le nostre proteste. Se tentiamo di agire in modo indipendente, non ce lo permette.»

L’oscurità ci circondava. Se fosse successo alla luce del giorno, avrei riso fino alle lacrime delle sue parole. Ma al buio, non ne ebbi il coraggio.

CONTINUA


[1] In merito agli esseri non-organici, ovvero coscienze incarnate direttamente nella struttura dello spazio-tempo, rimandiamo a D. Marin, CoCreatori del Cosmo: Il Tuo Potere nella Danza dell’Universo, IP 2024. Vedi lo stesso per il rapporto tra esseri non-organici ed eggregore.

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Europeo 1992

Una Storia Calcistica Edificante

da Marco Cesati Cassin, La Legge del Karma, Sperling & Kupfer (PickWick) 2024, pp. 168-171

1992. Una guerra improvvisa imperversava nei Balcani e nel mese di giugno sarebbe iniziato il torneo europeo per nazioni di calcio, che si sarebbe tenuto in Svezia. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ordinò l’esclusione della Jugoslavia da tutte le competizioni internazionali sportive. A seguito di quella decisione, venne ripescata la prima delle nazioni escluse, che era la Danimarca. I giocatori vennero richiamati, in fretta e furia, dalle loro vacanze al mare appena dieci giorni prima dell’inizio delle gare. Il commissario tecnico della nazionale danese Richard Møller-Nielsen aveva in programma di cambiare la cucina, ma dovette rimandare (con gioia) per partecipare a quell’inattesa convocazione. Il portiere Peter Schmeichel si trovava su qualche spiaggia italiana quando ricevette la telefonata di immediato rientro a Copenaghen. Solo l’asso Michael Laudrup declinò la convocazione, motivando il rifiuto con il fatto che aveva appena vinto la Coppa Intercontinentale con il Barcellona e che andare agli Europei con la nazionale danese sarebbe stata una perdita di tempo perché non avrebbero mai passato il primo turno di qualificazione. Ma nulla accade mai per caso nel mondo e ciò che successe in quell’estate del 1992 rimarrà nella storia.

Il torneo incominciò e, in effetti, la nazionale danese non brillò nelle prime due partite, realizzando contro l’Inghilterra un misero pareggio e subendo una sconfitta contro i padroni di casa svedesi. Tutto sembrava procedere come Laudrup, probabilmente con un Cuba Libre in mano, aveva predetto da qualche spiaggia in Romagna. Invece si sbagliava, poiché nell’incontro contro la Francia la nazionale danese vinse per due reti a una e si qualificò per le semifinali. [Al tempo la formula prevedeva otto squadre in due gironi da quattro, con le prime due qualificate alle semifinali; NdR] I giocatori, sorpresi a loro volta di essere approdati alle semifinali con il ruolo di outsider del torneo, non presero la cosa come un importante segnale del destino. Erano tutti concentrati a preoccupati per un loro compagno di squadra, Kim Vilfort, difensore dalle buone qualità tecniche, che era stato investito durante il breve ritiro della nazionale da una terribile notizia sulla sua famiglia: sua figlia Line, di appena otto anni, era stata ricoverata in ospedale per una leucemia fulminante.

Grazie alla vicinanza tra Danimarca e Svezia, dopo ogni partita papà Kim rientrava a casa per stare con la sua bambina. Purtroppo la salute della piccola peggiorava, e i medici erano molto preoccupati che non ce la potesse fare.

Nel frattempo il torneo europeo proseguiva … La semifinale era contro una favoritissima Olanda, ricca di campioni come Van Basten e Gullit. Tutta la Danimarca si strinse intorno alla sua squadra e al dolore del difensore Vilfort. Dopo un combattutissimo incontro terminato due a due, i rigori diedero esito favorevole ai danesi. Il portiere Schmeichel parò un rigore tirato da Marco van Basten e la Danimarca si trovò in finale dei Campionati d’Europa contro la Germania mentre la vicenda personale di Kim continuava a consumarsi in modo drammatico. Line lo chiamava ogni giorno pregandolo di raggiungerla e Kim correva avanti e indietro tra le due nazioni, inseguito dal sogno della vittoria da una parte e dall’incubo del dolore indicibile della sua piccola che si stava spegnendo.

I danesi, seppur consci della potenza teutonica e dei suoi calciatori di straordinaria bravura, forse perché a quel punto non avevano più nulla da perdere, essendo giunti in modo del tutto imprevisto sulla vetta dell’Europa, scesero in campo determinati e concentrati. L’incontro, seguito con il fiato sospeso dall’intera Danimarca, divenne subito entusiasmante. Infatti, dopo soli venti minuti di gioco la Danimarca passò in vantaggio. I tedeschi provarono in tutti i modi a pareggiare, ma trovarono una difesa e soprattutto un portiere che «parava anche l’aria». A circa dieci minuti dalla fine accadde qualcosa che sembrava deciso dal cielo. Il numero 18 della Danimarca si ritrovò il pallone tra le gambe a seguito di un rimpallo di colpi di testa e, dribblando un difensore tedesco, lui che era un difensore calciò con la gamba sinistra senza essere mancino, spiazzò il portiere della Germania e infilò così il pallone in rete. Quel giocatore che non riusciva nemmeno a urlare tanto era emozionato ci chiamava Kim Vilfort.

I compagni lo sommersero di abbracci perché ora erano due reti a zero e mancavano solo pochi minuti al termine della partita. La telecamera inquadrò Kim che piangeva, ma tutti sapevano che non erano lacrime di gioia le sue. L’intera Danimarca pianse allora con lui in silenzio mentre il suo viso, in primo piano, lasciava vedere gli occhi rossi dal dolore. Lui, distrutto dal dolore, aveva fatto ciò che nessuno si sarebbe mai immaginato fosse possibile: aveva segnato il gol decisivo per vincere. La Danimarca diventò Campione d’Europa e la festa fu immensa. Da Cenerentola del torneo, chiamata all’ultimo per rimpiazzare la Jugoslavia, vinse nonostante tutte le previsioni più nefaste – Laudrup ancora oggi rimpiange di non essere stato in Svezia con i suoi compagni ad alzare la coppa.

Kim ritornò subito a casa e corse in ospedale per raccontare a Line l’incredibile storia che aveva appena vissuto. Lei guardò il suo papà eroe e si addormentò felice, mentre Kim le rimboccava le coperte. Purtroppo la malattia se la portò via pochi giorni dopo, ma Line aveva ricevuto le immagini del suo papà che correva da lei, dopo ogni partita, per accarezzarle i capelli e baciarle la fronte. Dal suo papà eroe che alzava la coppa al cielo in televisione, visto da decine di milioni di telespettatori.

Quel gol era il segno del destino, la conferma celeste della potenza dell’amore. Quella vittoria, unica e mai più ripetuta nella storia del calcio danese, era il sigillo di un popolo unito e raccolto intorno a quell’uomo, padre prima che calciatore, che con un’immensa forza e resistenza era riuscito a battere la Germania e ad accarezzare la sua bimba che si stava spegnendo in ospedale.

Questa è la storia di Kim Vilfort, che se non fosse stato un calciatore campione d’Europa nessuno avrebbe mai conosciuto. Una storia così toccante che, come un sasso lanciato in uno stagno, ha creato tanti cerchi nell’acqua, che piano piano si sono allargati, espandendosi, risvegliando migliaia e migliaia di esseri umani. Di anime addormentate.


Segue il film ispirato alla vicenda:



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La Morte di Lady Diana

Incidente od Omicidio Rituale?


Estratto da David Icke, Il Segreto più Nascosto, Macro 2001
Elaborazione e correzione dell’OCR di Stefano Bellotti


Ritengo che Diana sia stata destinata a morire a quell’ora e in quel punto di Parigi molti anni prima. È possibile che ciò sia stato progettato sin dalla sua infanzia, persino dalla nascita. So che può sembrare esagerato, ma quando si entra un po’ addentro alle vicende della Confraternita, ci si rende conto che i suoi membri non formulano i loro piani settimane o mesi in anticipo, ma addirittura secoli.

Il fatto che Diana fosse nata nel 1961 e appartenesse alla famiglia degli Spencer potrebbe essere stato determinante perché diventasse un simbolo di Diana e quindi una vittima sacrificale destinata a morire in un luogo un tempo sacro a Diana, la galleria del Pont de l’Alma, a Parigi. Penso che ci siano ottime probabilità che le cose siano andate esattamente così.

Si è tramato affinché Diana si sposasse col principe Carlo e finisse poi la sua vita nella galleria del Pont de L’Alma. La gente crede che organizzare l’omicidio di Diana avrebbe comportato una laboriosa pianificazione e moltissimo tempo. Sì, questo è probabilmente vero. Ma di tempo ne avevano molto.

Diana Frances Spencer nacque a Park House, nella tenuta reale di Sandringham, nel Norfolk, il 1° luglio 1961, terza e ultima figlia del visconte di Althorp, in seguito ottavo conte Spencer, e di sua moglie Frances Roche. I suoi genitori si separarono quando lei aveva sei anni e divorziarono nel 1969 e sua madre sposò il magnate della carta da parati Peter Shand-Kidd. Diana aveva un fratello più piccolo, Charles, l’attuale conte Spencer, e due sorelle, Jane e Sarah. Un altro figlio era nato prima di Diana, ma era morto e lei era convinta che i suoi genitori avrebbero preferito, al suo posto, un erede maschio. Diana disse di aver avuto un’infanzia molto infelice e nel corso della sua breve vita dovette costantemente bramare quell’amore e quel calore che le era stato negato da bambina. Avendo vissuto a Sandringham conobbe la regina sin da quando era piccola ed era solita giocare con i suoi figli. Si dice che Carlo abbia visto Diana per la prima volta quando questa era ancora in carrozzina. Lei ricordava, per altro senza alcuna nostalgia, che ogni anno, durante le vacanze, veniva mandata nella residenza della regina per vedere il film Chitty Chitty Bang Bang. La scelta del film è interessante, poiché l’autore del libro da cui è tratto è Ian Fleming, agente dei servizi segreti, amico di Aleister Crowley e autore dei romanzi di James Bond. Il film parla di un re e una regina che odiano i bambini. Ingaggiano un accalappia-bambini affinché li adeschi, li rapisca e li metta in gabbia. A questo punto vengono condotti in un castello e chiusi in una prigione sotterranea. Sono tutti richiami simbolici alla realtà e non si può certo credere che i Windsor facessero vedere a Diana questo film per caso. Diana disse a Andrew Morton, secondo quanto egli riporta nel suo libro: «L’atmosfera era sempre strana quando andavamo là e io di solito davo calci e pugni a chiunque ci spingesse ad andare»[21]. Quindi i Windsor avevano le idee chiare su Diana, fin dalla sua nascita. All’età di 13 anni, dopo che suo padre ereditò il titolo di conte di Spencer, Diana si trasferì da Norfolk a Althorp, nel Northamptonshire, terra d’origine della famiglia Spencer. Diana ebbe un grande dispiacere quando suo padre sposò Raine, figlia della scrittrice Barbara Cartland, poiché la detestava profondamente. In Diana: Her True Story, ella racconta come nel settembre 1989 riversò tutti i suoi anni di frustrazione su Raine: «Le dissi cosa pensavo di lei, e non avevo mai provato una rabbia simile. Ricordo di essermi avventata contro di lei. Dissi: “Se solo sapessi quanto noi tutti ti odiamo per quello che ci hai fatto, hai rovinato la casa (Althorp), hai speso tutti i soldi di papà, e per cosa?”». L’empatia che Diana sentiva nei confronti delle persone che hanno problemi emotivi derivava dalle cicatrici che portò con sé per tutta la sua vita.

Gli Spencer appartengono all’Élite. Sono cugini degli Spencer-Churchill e imparentati con la famiglia Marlborough di Blenheim Palace, nello Oxfordshire, dove nacque Winston Churchill. Tra gli altri antenati figurano il duca di Marlborough e Sir Robert Walpole e la famiglia Spencer ereditò una considerevole fortuna da Sarah, duchessa di Marlborough. Gli Spencer si imparentarono anche con i Cavendish, i duchi di Devonshire presso la Chatsworth House, e questo ramo divenne noto come Spencer-Cavendish. Diana condivideva col principe Carlo degli antenati comuni, come il terzo duca di Devonshire e, soprattutto, re Giacomo I, il primo re Stuart di Inghilterra e Scozia, e finanziatore di Francis Bacon. Fu re Giacomo a rivestire un ruolo altamente significativo nell’espansione della Confraternita, nella formazione della Virginia Company che ancora possiede gli Stali Uniti, e nella pubblicazione della versione biblica di re Giacomo. Anche Diana discendeva, per vie diverse, dai re Stuart, Carlo II e Giacomo II, che la collegavano, come nel caso di Giacomo I, con la dinastia francese dei Merovingi. Carlo II ebbe così tanti figli fuori dal matrimonio che Dio solo sa dove sono oggi i suoi discendenti. Una cosa è certa, cioè che la Confraternita lo sa. Come succede per tutte le famiglie dell’Élite, gli Spencer sono una stirpe importante e Diana era imparentata con un’infinità di famiglie aristocratiche, compresi i conti di Lucan. Inoltre, gli Spencer hanno legami di sangue con molte eminenti famiglie americane, e sono imparentati alla lontana con i Rockefeller. Hanno una lunga storia di asservimento al re e la tradizione si è mantenuta col padre di Diana. Egli fu scudiero di re Giorgio VI (che si sposò con la regina madre) e della regina Elisabetta. La sorella di Diana Jane, è sposata con Sir Robert Fellowes, segretario privato della regina all’epoca in cui morì Diana. Entrambe le nonne di Diana, la contessa Spencer e Ruth Lady Fermoy, appartenevano al circolo ristretto della corte della regina madre, come pure quattro delle sue prozie. Gli Spencer e la regina madre erano molto amiche e furono Lady Fermoy e la regina madre a combinare il matrimonio tra Diana e il principe Carlo. Tutto questo assume un significato particolare se si pensa alla vera natura della regina madre.

Il conto alla rovescia per il matrimonio iniziò quando Diana incontrò il principe Carlo a Althorp, mentre costui aveva una relazione con sua sorella Sarah, nel 1977. Diana aveva 16 anni, ma fu tre anni dopo che i Windsor cominciarono a dedicarsi a lei. Con la regina madre e Lady Fermoy che tramavano dietro le quinte, Diana venne invitala a un ballo a Buckingham Palace per celebrare il 30° compleanno di Carlo. Allora, nel luglio 1980, un amico di Carlo, Philip de Pass, le chiese di rimanere con loro, in presenza del principe. Per dirla con le parole di Diana. Carlo fu tutto preso da lei e “si lanciò praticamente su di me”[22]. Le chiese di andare con lui a Buckingham Palace il giorno dopo e a settembre la invitò a trascorrere le vacanze insieme ai Windsor nella residenza scozzese di Balmoral. In seguito, Carlo le chiese di sposarlo e lei accettò. «Ti amo tantissimo», gli disse Diana. «Ma cos’è l’amore?». rispose Carlo[23]. Questa affermazione di Carlo la dice lunga sui Windsor e su come allevano i loro figli. Questi non capiscono cos’è l’amore perché ne danno e ne ricevono davvero poco. Immaginate di essere un bambino e di dovervi mettere in fila con tutti gli altri per stringere la mano di …

CONTINUA…

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Apparizioni Televisive

Atlantide

Intervista su Atlantide per il programma “Voyager” (RAI2) condotto da Roberto Giacobbo, in occasione della pubblicazione con Eremon di “Atlantidi” (2010), oggi ristampato da Armenia come “Le Tre Età di Atlantide” (2022).

Mura Poligonali di Cosa e Orbetello

Puntata della trasmissione “Velisti per Caso” (Sky e RAI3) condotta da Syusy Blady e Patrizio Roversi. Ospiti l’Associazione Pangea e l’archeologo Giuseppe de Giosa. Discussa l’origine dei Popoli del Mare, in particolare la visione di Mario Pincherle.

Grotta dei Re, 2012

Missione congiunta agli insediamenti dei Popoli del Mare in Calabria, trasmessa dalla trasmissione “Voyager” (RAI2) di Roberto Giacobbo. Presenti l’Associazione Pangea, la Geographical Research Exploring e il Gruppo Speleo-CAI (Feltre).

Cerimonia di Iniziazione alla Massoneria, 2013

Storica intervista sull’iniziazione massonica, tenuta nel 2013 in occasione della manifestazione “Incontri Senza Censura” della libreria “La Bassanese” di Marco Bernardi, a Bassano del Grappa (VI). All’epoca usciva con Mondadori “Il Segreto degli Illuminati”, oggi ripubblicato con SoleBlu come “Gli Eredi di Atlantide”.

Missione a Visoko, 2013

Dal 1 al 4 maggio 2013, la Geographical Research Association, assieme al Gruppo Speleologico CAI di Feltre e alla Scuola di Speleologia “Ennio Gherlizza” del CAT di Trieste, è stata ospite della fondazione Bosnian Pyramid of the Sun di Semir Osmanagić. La missione si è proposta di condurre un’esamina del sito e una serie di esplorazioni nel contesto della Valle di Visoko, presso Sarajevo. Riprese della trasmissione “Voyager” di Roberto Giacobbo (RAI2).

Diego Marin a Nocturnal, 2021

La mia intervista al programma “Nocturnal” di Roberto La Paglia, chiacchiere in libertà sulle frontiere della fisica e dell’archeologia.

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L’Importanza di Distinguere tra Attaccamento e Godimento

di Piero Ferrucci, Crescere: Teoria e Pratica della Psicosintesi (NEA), Astrolabio 2020, pp. 204-206

Molte tradizioni spirituali affermano che possiamo raggiungere la liberazione solo abbandonando i nostri attaccamenti e sbarazzandoci della nostra avidità innata. Il desiderio tende infatti a limitare la percezione della realtà: «un ladro vede solo portafogli», recita un detto indiano. Questo insegnamento è stato spesso interpretato erroneamente, come un’ingiunzione a distruggere in maniera sistematica e violenta ogni traccia di desiderio in noi stessi. Se è vero che questa procedura può funzionare con alcuni individui con una vocazione per l’ascetismo, molto più spesso genera risultati esattamente contrari alle aspettative: uno prova a reprimere i desideri, ma riesce solo ad alimentarli con l’energia di questa stessa costrizione; dopo che un desiderio è stato represso per qualche tempo, può tornare alla ribalta in maniera drammatica, oppure emergere con un aspetto diverso, oppure scomparire apparentemente ma in realtà controllare, invisibile, l’individuo che ha cercato di eliminarlo.

[Roberto] Assagioli (1888 – 1974) asseriva che si può arrivare alla libertà del non-attaccamento in modo assai più pratico e meno tormentoso: con un apprezzamento sempre più pieno della bellezza. Di solito desideriamo ciò che consideriamo bello; anziché negare l’esistenza di quell’attrazione, dice Assagioli, dovremmo lasciare che altre ne nascano al suo fianco; imparando a espandere la capacità di apprezzare la bellezza, attenuiamo i nostri attaccamenti fino al punto di indebolirli e perfino di farli scomparire.

L’errore del moralista, secondo Assagioli, sta nel confondere il godimento con l’attaccamento: il godimento di qualsiasi genere è un evento psichico di per sé benefico; ma a complicare le cose interviene il nostro desiderio di riprodurre la stessa situazione: e così nasce l’attaccamento. I due eventi sono di natura diversa, ed è bene distinguerli l’uno dall’altro: il godimento è puro e gratuito, l’attaccamento è avido e pieno di aspettative; il godimento vive nel presente, l’attaccamento si rifà al passato o si proietta nel futuro; il godimento è aperto alla vita, l’attaccamento la vuole invece programmare.

I nostri attaccamenti sono inversamente proporzionali alla capacità di godere: come mi disse un giorno Assagioli,

«L’approccio radicale consiste nel godere di più. Se si gusta un frutto, si può imparare a gustare tutti i tipi di frutta. Se si può godere di tutto non ci si attacca a nulla, perché si passa da un godimento all’altro. Si passa dal godimento di un frutto a quello di un libro a quello del cielo stellato.

«Se si apprezza tutto, si rimane liberi. E se si sente un desiderio che per varie ragioni è impossibile o non è opportuno soddisfare, ci si può rivolgere a godere di qualcos’altro.

«C’è sempre qualcos’altro di cui si può godere.»[1]

È vero anche l’opposto di tutto questo: se vediamo la bellezza solo in una persona o in un oggetto, escludendo tutto il resto, ne rimaniamo come stregati. Cadiamo nella convinzione implicita e illusoria che impadronendoci di quella entità saremo capaci di possedere la bellezza in sé. …

Il godimento è stato spesso associato al gusto, come dimostra l’esistenza di espressioni come “buon gusto”, “cattivo gusto”, e “assaporare”. E viceversa, la mancanza di godimento può anche essere compresa in termini di cibo: spesso inghiottiamo ciò che mangiamo, forse anche mentre leggiamo o guardiamo la televisione, senza prendere abbastanza tempo per assaporarlo. Questo modo di mangiare è parallelo alla maniera in cui a volte entriamo in relazione col mondo esterno in generale: ce ne appropriamo in modo affrettato, non ci fermiamo abbastanza per assaporarlo pienamente e quindi per assimilarlo. Poche persone sanno come gustare un pezzo di musica o un poema, un buon libro o un paesaggio, lasciandosene poi impregnare, cogliendo tutte le sfumature che un atteggiamento affrettato inevitabilmente si lascia sfuggire.


[1] Roberto Assagioli, comunicazione personale registrata, Firenze 1970.

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CoCreatori del Cosmo

Il Tuo Potere nella Danza dell’Universo

(Un Innovativo Manuale di Self-Help)

Lo scopo di questo manuale di self-help è metterti tranquillo. Per troppo tempo ci è stato spiegato, in nome del pensiero illuminista, che l’apparizione della vita e dell’uomo su questo pianeta sono state frutto del caso, così che la nostra esistenza si troverebbe in balia dell’accidente. Dovremmo perciò stare attenti, controllare tutto, assicurarci e continuare a chiederci se abbiamo fatto abbastanza. Non esistendo poi una ragione “reale” per vivere, la miglior cosa parrebbe adeguarsi all’ambiente per avere meno grane possibili, sopprimendo tutte le nostre follie e particolarismi, omologandoci, e accettando di buon grado che la medesima sorte spetti ai nostri figli, rimbrottati e derisi già sui banchi di scuola per i loro sogni.

Questo libro è qui per scombinare le carte. Se nel XVIII-XIX secolo quel poco di scienza che avevamo sembrava in effetti confermare l’idea dell’uomo-macchina, privo di scopo e di destino, la migliore comprensione che ne è venuta con la rivoluzione quantistica dei primi ‘900 ha rivelato una realtà completamente diversa. Il nuovo paradigma richiede tuttavia una padronanza del linguaggio matematico che non può venire da “letture da spiaggia”; ciononostante la brama di denaro ha fatto sì che stuoli di coach improvvisati fingessero di comprendere, proponendo al pubblico strane fantasie ben condite dall’aggettivo “quantico”, alimentando una letteratura cringe che ha suscitato giustamente le critiche della comunica scientifica, lasciando intendere agli spettatori che la rivoluzione quantistica in fondo non ci riguardasse.

Avendo avuto la fortuna di laurearmi in fisica, proseguendo poi con una formazione autodidatta in storia, filosofia, esoterismo e psicologia, ho potuto accendere di nuovo il dibattito senza scadere nel banale. Ho perciò evidenziato come dalla disamina di queste discipline la bilancia penda decisamente a favore dell’esistenza di una componente spirituale e di una “mano” (o daimon) che fa accadere solo ciò che “deve” accadere. Se controlliamo “tutto” (il che è impossibile), il “danno” verrà comunque dall’unica direzione in cui non abbiamo guardato; e quando accade il “danno”, esso viene per istruire, se non chi lo subisce, almeno gli altri che ne sono coinvolti.

Il “male” viene nel mondo per consentire all’amore di esprimersi. Se c’è chi soffre, è per far sbocciare la compassione. E la più piccola vicenda umana svolge un ruolo nell’evoluzione dell’Universo e della “mente” di Dio.


Ti do la libertà di scaricare gratuitamente il manuale. Se trovi il lavoro meritevole, ti chiedo in cambio di farmi conoscere come ricercatore e counselor, di lasciare una recensione su amazon o, se ti è possibile, di acquistare una copia cartacea. L’edizione è personalizzata sulla base dello Zodiaco a 15 Case.


Ofiuco, Spirito, 3 Gennaio – 26 Gennaio

Sagittario, Fuoco, 27 Gennaio – 19 Febbraio

Capricorno, Terra, 20-28 Febbraio, 1-15 Marzo

Ragno, Spirito, 29 Febbraio

Unicorno, Spirito, 16 Marzo – 20 Marzo

Acquario, Aria, 21 Marzo – 13 Aprile

Pesci, Acqua, 14 Aprile – 7 Maggio

Ariete, Fuoco, 8 Maggio – 31 Maggio

Toro, Terra, 1 Giugno – 24 Giugno

Gemelli, Aria, 25 Giugno – 18 Luglio

Cancro, Acqua, 19 Luglio – 11 Agosto

Leone, Fuoco, 12 Agosto – 4 Settembre

Vergine, Terra, 5 Settembre – 28 Settembre

Bilancia, Aria, 29 Settembre – 22 Ottobre

Aquila, Metallo, 23 Ottobre – 15 Novembre

Caduceo, Metallo, 16 Novembre – 9 Dicembre

Scorpione, Acqua, 10 Dicembre – 2 Gennaio

manuale di self-help

 

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Nicolai Lilin, Sbagliato Ritenere Navalny Un Oppositore Di Putin

Scrittore Russo All’ANSA: In Occidente Abbiamo Un’Immagine Distorta

di Mauretta Capuano, 16 febbraio 2024, originale su ANSA.it

L’Occidente ha «un’immagine assolutamente distorta» di Alexei Navalny, il dissidente russo morto in carcere, a 47 anni. Lo scrittore russo naturalizzato italiano Nicolai Lilin, invita ad approfondire «quali siano le origini di questi personaggi» per capire «chi siano veramente».

Navalny «non è mai stato un politico, è sbagliato dire che era un oppositore di Putin. Era uno strumento di propaganda, ma non un elemento politico perché l’elemento politico comprende l’esistenza di un programma, di un’idea politica, ciò che Navalny non aveva. Era un blogger che attraverso i social diffondeva le proprie opinioni» dice all’ANSA lo scrittore che dopo vent’anni passati in Italia ora vive all’estero.

L’autore del bestseller Educazione Siberiana (Einaudi) e tra gli altri di un libro dedicato a Putin, L’Ultimo Zar (Piemme), sottolinea che Navalny «è nato nell’ambiente dell’estrema destra russa, era un nazista. Dall’inizio della sua attività partecipava a un movimento che si chiamava in Russia La marcia russa, un’organizzazione che è stata gestita all’epoca degli oligarchi che poi sono stati tutti sterminati da Putin. Oligarchi nazisti, gente che adorava Hitler, il Terzo Reich, che girava con le svastiche e faceva i saluti romani. Navalny spesso si esibiva nel saluto romano, ci sono le foto, e non nascondeva la sua matrice nazista». Poi cosa è successo? «Quando Putin ha massacrato tutti i nazisti, Navalny ha trasformato se stesso in un progetto da vendere.

«Lavorava con una grande squadra di professionisti, hanno fatto un blog, notiziari, piattaforme social e così via. Era un’organizzazione che ha cominciato a ricevere sponsorizzazioni dall’Occidente e Navalny da nazista si è trasformato in un libertario». Navalny, incalza Lilin era «un elemento di disturbo in Russia che lavorava per gli interessi del mercato occidentale. Per questo è stato internato nel carcere. Io sono contrario a questa carcerazione, ma sappiamo che la Russia funziona così, è un sistema autoritario e se ti comporti in un certo modo vieni punito in un certo modo. Poi, quello che è successo in carcere è un mistero» dice. «Nel mio canale privato Telegram ieri ho condiviso un video dove lui appariva, durante l’ennesimo processo, sano, tranquillo, in forze. Oggi è morto. Quindi è chiaro che non aveva una malattia. È stata una morte veloce. La realtà la possiamo solo ipotizzare. Un suo vecchio collaboratore ha fatto una strana dichiarazione: “può darsi sia stato avvelenato da coloro dei quali da molto tempo si fidava”.

«Quello che non raccontano in Occidente è che nell’ambiente del movimento anti-Putin in Russia da tempo dicono che l’Occidente sfrutta diversi elementi per i propri interessi e quando questi personaggi diventano una “cartuccia sparata”, come nel caso di Anna Politkovskaja e altri, scatta un meccanismo per cui gli occidentali eliminano queste persone per sfruttarle come martiri. È un’altra teoria che gira negli ambienti liberali russi perché tutti questi morti sono strani» sottolinea Lilin. Certo è, continua lo scrittore, che «a Putin la morte di Navalny in carcere non serviva proprio nulla. A Putin Navalny serviva come un detenuto per mostrare a tutti che il sistema putiniano può usare la legge per reprimere coloro che cercano di sabotare il funzionamento dello Stato. A Putin non serviva ammazzarlo. C’era più interesse in Occidente per trasformarlo in martire e portarlo avanti come bandiera della libertà».

In Russia ci sono «i veri oppositori di Putin, persone di estrema sinistra, tanti comunisti che sono stati in carcere ma che non fanno gli interessi dell’Occidente, fanno gli interessi della Russia e per questo Putin li lascia vivere. L’Occidente non capisce la Russia, questo è il problema più grande. L’Occidente è diventato troppo arrogante. Siamo chiusi nel nostro mondo piccolo che sta colassando. Non sappimao neppure l’80% della realtà oggettiva. Non c’è più posto per nessuna egemonia» dice senza mezzi termini Lilin.

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Il Sogno dei Faraoni Neri

di Maurizio Damiano Appia

Un viaggio attraverso i deserti: quindici anni di studio e spedizioni. Un itinerario geografico e antropologico in una terra ancora vergine, ma soprattutto un viaggio archeologico e storico a ritroso nel tempo, alla ricerca delle vestigia di antiche civiltà scomparse e spesso dimenticate a causa di un potente vicino, l’impero egizio che sempre cercò di sottometterle. Queste terre diedero vita a sovrani che per oltre un secolo riuscirono a unificare la Nubia con l’Egitto e a regnare sopra le due nazioni: l’impero dei faraoni neri. Ricacciati a sud dai nuovi signori d’Egitto, i re neri crearono una delle culture più evolute di tutta l’Africa Nera. L’autore racconta la scoperta delle miniere d’oro e la vita delle genti che ancora popolano le terre nubiane.

​Pubblicato nel 1994, il testo di Damiano-Appia è oggi di difficile reperibilità. Pertanto ho ritenuto di non cagionare danno all’autore ma all’opposto di restituirgli lustro rendendo disponibili le scansioni in bianco e nero della sua opera. In caso contrario sarà sufficiente un avviso alla mia casella di posta elettronica (dmarin.math@gmail.com) e provvederò a rimuovere il materiale.

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