Benché vi sia una chiara derivazione dello Hieron du Val d’Or[1] dagli Elcasaiti (o Desposyni), ovvero dai familiari di Gesù di Nazareth, anche un’analisi superficiale della vita e della predicazione dello stesso è sufficiente a giustificare l’idea di un’infiltrazione, ad un certo punto, di elementi spuri. (Quanto alla sequenza di trasmissione succitata, annotiamo Elcasaiti > RosaCroce > Compagnia del S.S. > Aa > Hieron, con lo Hieron che nel 1934 “passa di mano”, viene snaturato e diventa P^2, tutt’ora attiva ed organizzata in Ur-Logge di respiro internazionale.[2] Dettagli in D. Marin, Appunti di Storia Proibita, #1.)
Il dualismo dello Hieron era quello tipico dei Manichei, e benché Mani (vero nome Shuraik, 216-277 d.C.) fosse in origine elcasaita, egli fu certamente “deviato” dallo Zoroastrismo persiano. Se il dualismo di Mani supponeva un dio (buono) dello spirito e un dio (malvagio) della materia, uno contrapposto all’altro – al punto che l’uomo pio disprezzerebbe il proprio corpo ed eviterebbe quanto più possibile di riprodursi –, di tutt’altra natura doveva essere il dualismo degli Elcasaiti. Diversi episodi della storia evangelica esprimono infatti l’apprezzamento di Gesù per tutto quanto desse gioia all’essere umano, non per ultimi il cibo e il buon vino.
Il dualismo di Gesù era probabilmente più vicino alla concezione platonica di “psiche” e “daimon”. Platone, che come Orfeo e Pitagora aveva preconizzato l’avvento del Cristo (cfr. D. Marin, Appunti di Storia Proibita, #5), suggerisce l’idea che, prima di venire al mondo, ciascuno di noi abbia la possibilità di scegliere una “grande imago”, un disegno, che dovrebbe poi realizzare nel corso della vita.
«Nel momento in cui entriamo nella matrice, nell’utero materno, noi però dimentichiamo la nostra scelta ed è compito del “daimon” che, per tramite delle Moire, si unisce a noi prima della nostra nascita, di ricordarci la nostra grande immagine, il disegno della nostra vita, il perché siamo giunti sulla Terra. Egli è dunque il custode del nostro destino, e ci sprona ad esprimere i nostri talenti e le nostre virtù per raggiungere il vero Bene, che è Bellezza e Verità. […]
«Il “daimon” è il depositario delle nostre inclinazioni e conosce gli strumenti che ci servono per sfruttarle. Esso fa sentire la sua voce fin da subito, persino nel modo in cui i nostri genitori ci hanno concepito, nel modo in cui siamo venuti al mondo, nei giochi della nostra infanzia, nei sogni onirici e nei nostri desideri e passioni. Perciò dobbiamo prestare orecchio al linguaggio in cui si esprime, cercando di evocare ricordi, essere consapevoli anche dei desideri più reconditi, il che non significa tentare di realizzarli a tutti i costi, ma riconoscerli e sapere che sono dentro di noi.
«Per intendere la voce del “daimon” dobbiamo fare attenzione ai segni interiori ed esteriori, i secondi riflesso dei primi, senza giudicare, analizzare, riflettere. La buona riuscita è strettamente legata all’assenza di paura: più c’è ansia e senso di colpa, più si ha bisogno di giudicare, analizzare gli avvenimenti nel tentativo di misurarli, prevederli, controllarli.
Lasciarsi andare è il modo migliore per intuire il linguaggio del “daimon”. Il nostro “spirito guida” ci chiede una prova di fede e, se ci affidiamo, ci conduce impeccabilmente e infallibilmente verso la realizzazione della nostra missione, a volte persino senza sforzo, trasportandoci oltre ogni ostacolo.
Attraverso le piccole e grandi cose che ci accadono – un meraviglioso tramonto, un innamoramento, ma anche una malattia, un tradimento, il volo di un uccello che attraversa il nostro spazio visivo – possiamo sentire la sua voce». (Cfr. S. C. Williams, Daimon, Piemme 2022, pp. 8-9.)
Presumibilmente il dualismo degli Elcasaiti non riguardava la distinzione tra spirito e materia (la quale, tra l’altro, sulla base della fisica quantistica sarebbe un prodotto unicamente “percettivo” dello spirito), ma indicava la separazione alla nascita tra il nostro “daimon” e la nostra “psiche”, la cui riunificazione può tuttavia ottenersi attraverso l’assimilazione della gnosi, ovvero la capacità di riconoscere segni esteriori e sensazioni interiori in armonia con il nostro progetto prenatale.
A questa gnosi si riferiva presumibilmente lo stesso Gesù (in vari passi dei vangeli sinottici) laddove accennava ad una conoscenza superiore riservata al suo cerchio più ristretto, mentre per gli altri auditori si sarebbe espresso in parabole.
Chi Sono i Leader di Israele
Agli albori dell’età moderna, l’impatto con Roma e la successiva predicazione del Nazareno provocarono una netta spaccatura nell’élite sacerdotale di Israele. In particolare, dell’insegnamento di Gesù faceva discutere il tema dell’uguaglianza delle razze: prima di lui la parola “uomo” od “umanità” dei testi biblici era intesa in riferimento esclusivo agli Ebrei, mentre per indicare gli homo sapiens delle altre etnie era in uso il termine “goyim”, tradotto spesso con “gentili”, ma che intendeva qualcosa di semi-umano o comunque più vicino all’animale. Pertanto non c’era contraddizione tra il 5° comandamento “non uccidere altri uomini” e l’ordine di Jahve di sterminare i Palestinesi dell’epoca mosaica (i Cananei) per occuparne la terra.
La spaccatura si formalizzò in due passaggi: gli accordi tra (San) Paolo e Seneca (intorno al 60 d.C.), e quelli tra Giuseppe Flavio e Vespasiano (nel 70 d.C.). Con questi patti, coloro tra i sacerdoti che vi aderivano si impegnavano a porre la loro scienza al servizio di Roma, sfruttando in particolare l’insegnamento di Gesù (adattandolo alla ragion di Stato ed al gusto pagano) per la costituzione di un nuovo culto (il Cristianesimo) che servisse all’accettazione da parte delle masse di una classe governante il cui dominio doveva essere sopportato con gioia in virtù di una ricompensa nell’aldilà. Penetrati nella nobiltà romana (adottati dalla gens flavia e dalla gens anicia), questi sacerdoti arrivarono a far eleggere uno di loro (Flavio Costantino, nel 306 d.C.) al soglio imperiale, e attraverso di lui ad ottenere il riconoscimento ufficiale della nuova religione (Editto di Milano, 313 d.C.). Come nobiltà nera gli “ebrei del patto” divennero inoltre gli elettori del papa. Per quasi 2.000 anni gli “Ebrei del Patto” mascherarono le proprie origini entro la nobiltà e la Chiesa cristiane, spostando più tardi il proprio centro da Roma ad Aquisgrana, dove le loro famiglie ottennero nuovo prestigio con la nomina imperiale di Carlo Magno Anicio Flavio (discendente di Costantino, nell’800 d.C.).
Chi invece non aderì ai patti, lasciò Gerusalemme per Babilonia (poi Baghdad), in cui dai tempi dell’esilio (VI sec. a.C.) sopravviveva una prolifica comunità ebraica al sicuro dalle ingerenze di Roma. Fecero eccezione i famigliari dello stesso Gesù (gli Elcasaiti o Desposyni), che dopo l’omicidio di Giacomo (parrebbe per ordine di Paolo[3]) si spostarono prima ad Alessandria e da qui in Calabria e nella zona di Lucca. Assumendo la sigla di “RosaCroce”, nel XII secolo trovarono un nuovo centro in Renania. Sebbene in alcuni testi gli Elcasaiti si definissero “cristiani”, essi intendevano il cristianesimo come una nuova mentalità da adottare all’interno dell’ebraismo, in cui la morte e resurrezione del loro profeta era da intendersi allegoricamente, mentre l’idea di un “popolo prediletto” veniva sostituita da quella di “creatura prediletta”, concependo l’intera umanità sullo stesso identico piano.
Il gruppo di Babilonia si spostò invece nel 768 d.C. in Settimania (oggi Linguadoca, Francia), dove Pipino il Breve concesse loro un principato semi-autonomo a patto che si impegnassero a far da cuscinetto contro gli Arabi di Spagna. Il primo principe di Settimania fu Teodorico Makir, figlio del rabbino di Baghdad Yehuda Zakkai, al quale Pipino concesse in sposa la sorella Aude.
Negli anni gli “Ebrei del Patto” non risparmiarono angherie contro i propri consanguinei, compresi tutti coloro che non erano a conoscenza del patto e che – nel legittimo desiderio di appartenere ad una comunità – non avevano altra scelta se non rivolgersi al gruppo di Babilonia, l’unico a mostrarsi apertamente ebraico. A questi nel tempo si sarebbero aggiunti gli Ebrei divenuti tali per conversione, la maggior parte di origine kazara.
Alcuni indizi suggeriscono perfino un coinvolgimento degli E.d.P. nell’ascesa del nazismo e nell’organizzazione dei campi di sterminio. Ma anche limitandoci alle età precedenti, non possiamo scordare i vari pogrom, gli esili e le ghettizzazioni che si sono protratti dal Medioevo alla 2a Guerra Mondiale.
Solo dopo il nazismo, gli “Ebrei del Patto” sono tornati a dichiararsi “ebrei”, emergendo con certi cognomi che conosciamo bene e che si collocano (insieme ad altri) ai vertici del sistema bancario mondiale. Funzionale allo scopo è stata l’applicazione di un’accurata politica matrimoniale con i membri di una “quinta colonna” per mezzo della quale gli E.d.P. avevano mantenuto degli infiltrati a Babilonia.
Anche escludendo una loro responsabilità diretta, è evidente come gli “Ebrei del Patto” abbiano sfruttato lo stato di spirito prodotto dall’olocausto per ottenere senza sforzo la ricostituzione dello Stato d’Israele, del quale hanno assunto la guida politica, adottando per la seconda volta un programma di genocidio verso i Palestinesi. Il popolo praticamente non se ne è accorto, e ancora oggi non ha la minima idea che i suoi leader rappresentino quella stessa nobiltà europea che gli ha causato secoli di sofferenza.[4]
La Stella di Davide
Ai tempi dell’antico Israele, la Stella di Davide Non era un simbolo del popolo ebraico. Divenne nota al “grande pubblico” solo intorno al 1800, quando il banchiere Mayer Amschel Rothschild la fece dipingere sulla facciata della propria casa a Francoforte e la adottò come simbolo della propria famiglia. Prima era limitata a circoscritti ambiti esoterici, e per pratiche non proprio rispettabili. Dopo la seconda guerra mondiale, considerato l’impegno dei Rothschild alla causa sionista, evolse nel simbolo dell’intera nazione ebraica.
Curiosamente in alcuni passi biblici (come Amos 5, 26) lo stesso Jahweh proibisce l’uso della Stella a sei punte. Il motivo è che quel tempo la Stella a sei punte era simbolo del dio fenicio Moloch (che tribù differenti chiamavano Refan o Chiiòn), tristemente famoso per l’usanza di sacrificargli i primogeniti nella speranza che diventassero gli “angeli custodi” della famiglia. Secondo il Testamento di Salomone, lo stesso re di Israele in un periodo di debolezza spirituale avrebbe impresso la Stella sul proprio anello per controllare il demone Belzebù di modo che questi e le sue schiere edificassero il Tempio di Gerusalemme. A parte il fatto che Salomone era figlio di Davide, non vi è alcun legame tra la stella e il sovrano a cui viene nominalmente accostata.
Aggiungiamo a quanto esposto il tradizionale incontro annuale al Bohemian Groove che coinvolge presidenti, banchieri e affaristi (perlopiù dichiaratamente sionisti) nei giorni centrali di agosto, il cui “spettacolo” principale è una bizzarra cerimonia propiziatoria ai piedi della statua di Moloch. E come non ricordare la statua di Moloch esposta (tra l’autunno del 2019 e la primavera del 2020) all’ingresso del Parco Archeologico del Colosseo?
Abbiamo abbastanza indizi a sostegno della ricostruzione precedente a proposito degli “Ebrei del Patto”, i quali non avrebbero molto da spartire con la popolazione sulla quale oggi governano.[5]
Non abbiamo idea del perché gli “Ebrei del Patto” abbiano ripescato il mito di Moloch, diffuso tra i Fenici ma le cui origini si devono probabilmente ricondurre ai Cananei. Certamente però lo portarono con sé dentro il Cristianesimo (il Cristianesimo, si badi, non l’insegnamento – reale – di Gesù). Chi è infatti il dio dei Cristiani se non l’apoteosi di Moloch, che sacrifica il proprio primogenito a sé stesso affinché diventi il custode della famiglia umana?
Morte e Resurrezione
Con riferimento ai miei articoli precedenti (in particolare al #5), riprendiamo l’ipotesi motivata secondo cui l’Amore, per manifestarsi, necessiterebbe di un Universo fuori-equilibrio (in altre parole: la cui entropia sia lontana dal massimo, ovvero in cui la sofferenza non sia nulla). Ciò vuol dire che l’Amore dovrebbe “scendere” nella materia.
A tal fine la Coscienza Divina si “incarna”, ma così facendo perde contatto con la sua “memoria immateriale”, scordando tra l’altro la sua natura e la ragione della sua “discesa”. Quest’ultima viene tuttavia trasmessa nell’Universo Materiale dal “daimon” di ciascuno, ma a tal fine l’individuo deve “morire”, ovvero incontrare la propria “ombra”, la cui conoscenza e accettazione lo pone in sintonia con la trasmissione del “daimon”. Pur non potendo – neppure a quel punto – recuperare i propri ricordi, egli diviene almeno sensibile al proprio flusso esistenziale (il piano che egli stesso ha concepito per la propria esistenza materiale prima di incarnarsi). L’individuo comprende in particolare se una determinata azione o un determinato progetto appartengono al flusso sulla base delle proprie sensazioni interiori e dei segni rivelatori (che egli impara a discernere dal caso). A quel punto può sostenere di avere risvegliato lo spirito nella materia, ovvero di essere, in un certo senso, risorto.[6]
L’interpretazione letterale dei vangeli sinottici sosterrebbe che Dio si sarebbe incarnato nel Nazareno, e che morendo per poi risorgere avrebbe liberato l’Uomo dalla colpa del peccato originale, salvando di conseguenza la sua anima. Tuttavia, in una concezione di Dio quale entità onnipotente esterna all’Uomo, se il Creatore avesse voluto semplicemente scagionare l’Uomo da un Reato, avrebbe disposto certamente di un sistema più rapido ed efficacie, tanto più che la Storia non rileva alcuna soluzione di continuità tra il prima e il dopo gli anni fatali.
È più logico pensare che la descrizione della morte e della resurrezione di Gesù sia stata soltanto l’ultima delle parabole trasmesse dagli evangelisti. Ogni uomo è un’espressione della Coscienza Divina Incarnata. La Croce è universalmente il simbolo dei 4 Elementi, o in altre parole della dimensione materiale. Gesù si presenta quindi come rappresentante della Coscienza Divina che è discesa nella materia (si è posta sulla Croce), e morendo (incontrando la sua “ombra”), ha potuto risorgere, ovvero ha potuto mettersi in contatto con il proprio “daimon” e afferrare le redini della propria vita. In questo modo, Gesù non avrebbe salvato l’Uomo, ma avrebbe consegnato ad ogni uomo gli strumenti con cui salvarsi da solo.[7]
Questo grande maestro, il cui insegnamento così interpretato non si discosta molto da altri precedenti (ad esempio il buddismo), sarebbe pertanto vissuto oltre il suo magistero in Palestina. Certo gli accordi tra l’élite sacerdotale israeliana e il gotha romano gli imponevano di andare altrove, sicché dovremmo considerare seriamente la tradizione che vede la continuazione del magistero di Gesù prima in Kurdistan[8], poi in India ed infine in Giappone, come registrato nel Rapporto Notovitch[9] e nei Documenti Takeuci[10].
{Postilla, Il Piano di Paolo}
Se la ricostruzione di Holger Kersten (La Vita di Gesù in India) è buona (e io ritengo che in linea di massima lo sia), ne conseguono altre possibilità non espresse dall’autore:
Un paio d’anni dopo la crocifissione, Paolo è sulle tracce di Gesù di cui si mormora possa trovarsi a Damasco sotto la protezione della locale comunità essena. Una volta sul posto, Paolo finge di smarrire il proprio impeto persecutorio, e dopo un anno di valutazione riesce a farsi ammettere alla comunità.
Nonostante le rimostranze del discepolo Anania, Gesù si convince infine del rabbonimento di Paolo e decide di incontrarlo per affidargli la diffusione del suo messaggio ai gentili.
Paolo compie la sua prima missione in Arabia, e a tre anni dal suo incontro con Gesù si reca a Gerusalemme per presentarsi a Simon Pietro e Giacomo, quest’ultimo nominato vescovo della Città Santa. (Qui si suppone che “Giacomo il Maggiore” e “Giacomo il Giusto” siano la stessa persona.) Gesù si trova probabilmente già a Nusaybin (presso Edessa), da cui proseguirà verso l’India.
Nel 41 d.C. Paolo incontra Seneca in Corsica ed insieme al filosofo incomincia a progettare la “nuova religione”.[11] Paolo ottiene appoggio militare segreto sul territorio palestinese.
Nel 44 d.C., dopo aver predicato in Siria e in Cilicia, Paolo torna a Gerusalemme apparentemente per portare una colletta della Chiesa di Antiochia alla Chiesa di Gerusalemme, motivata dalla predizione di una carestia per voce di un cristiano di nome Agabo. Prima di tornare ad Antiochia e programmare nuovi viaggi, Paolo ordina ai propri sgherri di uccidere Giacomo. Pietro diviene il nuovo vescovo di Gerusalemme, registrato dagli annali come “Simone I”.
Paolo torna a Gerusalemme nel 49 d.C. (per il Concilio) e nel 58 d.C. (in conseguenza del ben noto “Incidente di Antiochia”), e la sua presenza in quest’occasione potrebbe collegarsi alla morte di Pietro. Una folla inferocita lo accusa di omicidio e lo fa arrestare. Sfruttando però la propria cittadinanza romana, Paolo riesce ad ottenere l’estradizione per Roma. Nuovo vescovo di Gerusalemme diviene Giuda Barsabba, figlio di quel Giuseppe Barsabba che i Vangeli annotano tra i “fratelli” di Gesù e che probabilmente coincide con il “bandito” Barabba.
Riunitosi a Seneca, nel 65 d.C. Paolo viene accusato insieme a lui di aver partecipato alla Congiura dei Pisoni e Nerone ne decreta la condanna a morte per decapitazione. Il piano della “nuova religione” sarà comunque ripreso dal giovane discepolo di Paolo, Yosef ben Matityahu, meglio noto ai posteri come “Giuseppe Flavio”, che troverà la buona disposizione dell’imperatore Vespasiano.[12]
{/Postilla}
Un Pensiero per la Pace
Negli ultimi giorni[13] ho in parte perso di vista il mio compito quale essere umano, ovvero contribuire alla concordia e alla realizzazione dei miei fratelli. Certo non era facile restare impassibili alla violenza dello scenario medio-orientale, e altrettanto alle facili prese di posizione delle tifoserie dei socialmedia, pro-Israele o pro-Palestina, spesso infarcite di messaggi d’odio.
Al di là della ricostruzione storica che ho proposto nei miei post, risultato di oltre 10 anni di studio sui temi dei poteri forti, dell’araldica e delle società segrete, è doveroso tenere a mente alcuni fatti indiscutibili.
1. Le persone coinvolte negli eventi, che hanno perduto o perderanno la serenità, la salute psico-fisica o addirittura la vita, sono persone semplici, che cercano come tutti noi di godersi la giornata, di arrivare a fine mese e di avere dei buoni amici. Pochissimi di loro sono responsabili di quanto è accaduto e accadrà, siano essi Israeliani o Palestinesi, e anche se alcuni sostengono di odiarsi l’un l’altro, la loro affermazione è solo il frutto di ignoranza, sofferenze famigliari e propagande politiche che in tutto il mondo hanno facile presa su chi non ha il tempo si fermarsi ad analizzare gli eventi con la necessaria razionalità. Il popolo non ha colpe;
2. Anche se i politici sono innegabilmente colpevoli, anche se il sionismo non è meno colpevole del fascismo, abbiamo tutti il dovere di galleggiare al di sopra di tale ovvia constatazione. La sofferenza che ci viene offerta, benché sia nostro dovere contenerla, sarà comunque uno strumento di crescita ed evoluzione della razza umana. I “cattivi” sono dopotutto un mezzo nelle mani di una Coscienza Cosmica che io ritengo fondamentalmente amorevole. Se il mondo fosse equilibrato, l’Amore non avrebbe alcun modo di manifestarsi. I “cattivi” sono poi anch’essi il frutto della propria storia, e della Storia con la “S” maiuscola che li ha preceduti e che ha permesso alla loro classe di costituirsi. E non c’è alcuna possibilità che un “cattivo” sia felice, per quanto ricco o potente sia. Presentatemi un cattivo felice e rivedrò la mia opinione. Per ora, per quanto viaggino più di me, per quanto scopino più di me, per quanto godano di adorazioni e servitù, io continuo a sentirmi più fortunato di loro. Io non li odio. Non odio i Rothschild né qualunque altra famiglia. Sono solo lontani dalla comprensione. Chissà mai che qualcuno di loro si penta, come accadeva a Devil-Man nel manga di Go Nagai.
Anti-Sionismo
Quando mi definisco “anti-sionista”, non intendo assolutamente negare il diritto al popolo ebraico di esistere o di professare il proprio credo. Ciò sarebbe nell’accezione moderna del termine (per quanto impropria dal punto di vista semantico) “anti-semitismo”.
Capisco che dopo il dramma dell’olocausto, gli Ebrei desiderassero a ragione di ricostituirsi come comunità, per esser certi di trovare comprensione nei propri simili ed elaborare il lutto. Ritengo però una pessima scelta farlo a discapito di altre comunità umane che hanno pari diritto ad esistere. Gli Ebrei avevano abbandonato in massa la Palestina dal 135 d.C., e il territorio era arabo dal 637 d.C.. Inoltre il 99,9% degli Ebrei oggi sono discendenti dei Kazari convertiti nell’VIII secolo d.C., che non hanno legami di sangue con la Palestina (per questo parlare di semiti e anti-semitismo è improprio). Chiedere che un territorio venga ceduto dai suoi abitanti, che avranno casa, poderi e ricordi su di esso, è improponibile. Averlo imposto con la forza ha inevitabilmente prodotto odio, guerra e morte, e sarebbe ingenuo pensare che non si fosse previsto. Sarebbe stato più logico assegnare un territorio agli Ebrei negli Stati Uniti o in Etiopia, dove la comunità ebraica era già strutturata e aveva un proprio equilibrio prima della 2a guerra mondiale. Tornare per forza in Palestina in nome di un muro, quello che viene detto “Muro del Pianto” e che è l’unica parete del Tempio rimasta in piedi dopo l’ingresso dei Romani a Gerusalemme (nel 70 d.C.), non è niente più che un capriccio immaturo. Sono certo che se ci si fosse mossi per mezzo del dialogo e non dell’esproprio, i Palestinesi non avrebbero proibito a nessuno di visitare Gerusalemme e il suo muro.
Oggi però i fatti sono fatti, e non possiamo vivere in un mondo che non sia quello reale. Comprendiamo la natura dell’odio palestinese e israeliano, e operiamo per lenirlo, non per alimentarlo. Cerchiamo di far capire che ogni azione violenta è stata il frutto di un’errata comprensione, di sé stessi e degli eventi, di propaganda, povertà ed ignoranza. Predichiamo il perdono. Invitiamo ad abbandonare le credenze rigide e ad ammettere la possibilità di aver sbagliato e di sbagliare. Invitiamo ad ammorbidire le religioni, a depurarle di tutto ciò che impedisce una sana discussione. La religione dovrebbe essere un mezzo per la ricerca della verità, non per imporre qualcosa senza addurre motivazioni. Nessun Dio potrebbe metterci nella situazione imbarazzante di dover imporre agli altri qualche cosa che nemmeno noi comprendiamo.
Togliete le bandiere dai vostri profili. Accettiamoci come uomini, come fratelli. E stasera al bar, avvicinate il vostro nemico per offrirgli una birra. Capirete che l’odio è solo l’espressione impacciata di un dolore profondo. Comprendetelo e sanatelo, e anche l’odio se ne andrà.
[1] Società Segreta istituita nel 1873 a Paray-le-Monial dal gesuita Victor Devron e dal barone russo-spagnolo Alexis de Sarachaga. Cfr. D. Marin, Appunti di Storia Proibita, #1.
[2] Non si confonda la P^2 (P-Quadro) con la P2 (P-Due) di Licio Gelli. La seconda era al più il “braccio” italiano della prima, avente lo scopo specifico di porsi ad intermediario tra gli uffici di GLADIO (l’operazione stay-behind della CIA in Italia), le organizzazioni terroristiche (Brigate Rosse, Prima Linea, Lotta Continua, NAR, Avanguardia Nazionale e Ordine Nuovo) e la criminalità organizzata (in particolare Cosa Nostra).
[3] La versione secondo cui il mandante dell’omicidio di Giacomo sarebbe stato Paolo di Tarso è riportata in un manoscritto siriaco custodito nell’archivio del Duomo di Vercelli e tradotto da Luigi Leante che lo include ne Il Crocifisso di Galatone (Congedo, 1997).
[4] Il sottinteso qui è che la parte più influente della nobiltà europea sarebbe discesa dai Flavi e dagli Anici di adozione. Cfr. Flavio Barbiero, Le Radici Giudaico-Cristiane dell’Europa, Profondo Rosso 2018.
[5] Vi è un diffuso fraintendimento terminologico sulla base del quale gli “Ebrei del Patto” vengono assiduamente quanto erroneamente indicati come “Ebrei Askhenaziti”. Chiariamo perciò quali sono i contorni di quest’ultima categoria. Gli Askhenaziti sono semplicemente gli Ebrei Tedeschi (Askhenaz, secondo la Bibbia, era un discendente di Jafet che guidò i Germani dalla Scizia al Nord Europa). Essi discendono da quei Kazari che si convertirono all’ebraismo nell’VIII secolo d.C. e non hanno legami di sangue con la Palestina. Oggi gli Askhenaziti sono per lo più brava gente che lavora per arrivare a fine mese, e sono innocenti, così come lo sono gli Arabi Palestinesi. Anche i Sefarditi (Ebrei di Spagna) sono per lo più Kazari, e anche loro sono innocenti. I leader sionisti (quali ad esempio i Rothschild) al contrario non sono Kazari; un’attenta disamina della loro genealogia (riportata nel solito Appunti di Storia Proibita, #1) riconduce chiaramente all’Israele biblico e alla famiglia davidica. Essi vennero dalle scuole teologiche di Sura e Pumbedita di Babilonia (Baghdad) fino in Kazaria per coordinare la conversione del popolo ordinata dal Khagan Bulan. Potremmo dire che ottennero “cittadinanza” kazara, ma non che fossero originari della regione. In linea di massima ogni famiglia coinvolta nel “Patto” può essere ricondotta ad una famiglia sacerdotale dell’Israele biblico.
[6] Per logica, infatti, l’accettazione del “flusso” non può prescindere dall’accettazione dell’“ombra”. In altre parole, per poter “risorgere” è necessario prima “morire”.
[7] È inoltre sospetto che il tema di una morte e di una resurrezione in senso fisico sia stato tanto caro alle gerarchie romane ma non altrettanto agli Elcasaiti che per logica avrebbero dovuto manifestare una maggiore vicinanza emotiva alle esperienze straordinarie del loro congiunto.
[8] La tradizione di un magistero di Gesù in Kurdistan è viva ancora oggi presso i Bektashi dell’Anatolia, i Nusairi della Siria e gli Yazidi dello stesso Kurdistan. Tali comunità, registrate usualmente nel più ampio gruppo dei Musulmani Alawiti, sono in verità quanto resta delle comunità giudaico-cristiane delle stesse zone che rifiutarono di conformarsi alla dottrina di (San) Paolo. In particolare, dopo aver lasciato la Palestina, Gesù si sarebbe stabilito nella città di Nisibis (oggi Nusaybin), poco lontano da Edessa e dal sito megalitico di Gobekly Tepe. Curiosamente, fu in un monastero di Nusaybin che il filosofo armeno Georges Ivanovič Gurdjieff avrebbe appreso i principi della Quarta Via. Lo stesso Gurdjieff sosteneva che il suo insegnamento rientrasse nel novero della gnosi trasmessa all’interno delle prime comunità cristiane. Il centro di tale insegnamento era il cosiddetto “Ricordo del Sé”, che salvo la differenza di termini coincide pienamente con la “consapevolezza” che si pone ad obiettivo delle pratiche meditative buddiste ed induiste. Ciò conferma ulteriormente il legame tra Gesù e l’India. Cfr. Holger Kersten, La Vita di Gesù in India: La sua vita sconosciuta prima e dopo la Crocifissione – La verità sulla Sacra Sindone, Verdechiaro 2020, pp. 153-156; Diego Marin, Appunti di Storia Proibita, SoleBlu 2022, #7 “Gurdjieff e l’Europa”.
[9] Cfr. Holger Kersten, La Vita di Gesù in India: La sua vita sconosciuta prima e dopo la Crocifissione – La verità sulla Sacra Sindone, Verdechiaro 2020.
[10] Cfr. Kosaka Wado (a cura di), Takeuchi Documents I, Lulu 2017; Kosaka Wado (a cura di), I Documenti Takeuci 2, Lulu 2017; Kosaka Wado (a cura di), I Documenti Takeuci 3, Lulu 2018; Michiyo Miwa (a cura di), I Documenti Takeuci 4, Lulu 2019.
[11] Secondo la tradizione orale, Paolo avrebbe costruito un monastero e una chiesa nel villaggio corso di Ghjunchetu (it. Giuncheto) prima di continuare il suo cammino verso l’Africa. Curioso che di questo viaggio in Africa non vi sia traccia né negli Atti degli Apostoli, né nelle Lettere di Paolo stesso, come se si fosse ritenuto opportuno depennarlo. Vi sono tuttavia indizi che riconducono a Paolo le famiglie italiane dei Sauli (Lucca-Genova) e dei Borghese (Siena-Roma).
[12] In merito al legame tra (San) Paolo e Giuseppe Flavio, si consulti Diego Marin, Gli Eredi di Atlantide, SoleBlu 2022, pp. 192-195.
[13] Il riferimento è agli attentati di Hamas in Israele del 7 ottobre 2023 e alla ritorsione dell’esercito israeliano sulla popolazione dei Gaza nei giorni immediatamente successivi.