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Europeo 1992

Una Storia Calcistica Edificante

da Marco Cesati Cassin, La Legge del Karma, Sperling & Kupfer (PickWick) 2024, pp. 168-171

1992. Una guerra improvvisa imperversava nei Balcani e nel mese di giugno sarebbe iniziato il torneo europeo per nazioni di calcio, che si sarebbe tenuto in Svezia. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ordinò l’esclusione della Jugoslavia da tutte le competizioni internazionali sportive. A seguito di quella decisione, venne ripescata la prima delle nazioni escluse, che era la Danimarca. I giocatori vennero richiamati, in fretta e furia, dalle loro vacanze al mare appena dieci giorni prima dell’inizio delle gare. Il commissario tecnico della nazionale danese Richard Møller-Nielsen aveva in programma di cambiare la cucina, ma dovette rimandare (con gioia) per partecipare a quell’inattesa convocazione. Il portiere Peter Schmeichel si trovava su qualche spiaggia italiana quando ricevette la telefonata di immediato rientro a Copenaghen. Solo l’asso Michael Laudrup declinò la convocazione, motivando il rifiuto con il fatto che aveva appena vinto la Coppa Intercontinentale con il Barcellona e che andare agli Europei con la nazionale danese sarebbe stata una perdita di tempo perché non avrebbero mai passato il primo turno di qualificazione. Ma nulla accade mai per caso nel mondo e ciò che successe in quell’estate del 1992 rimarrà nella storia.

Il torneo incominciò e, in effetti, la nazionale danese non brillò nelle prime due partite, realizzando contro l’Inghilterra un misero pareggio e subendo una sconfitta contro i padroni di casa svedesi. Tutto sembrava procedere come Laudrup, probabilmente con un Cuba Libre in mano, aveva predetto da qualche spiaggia in Romagna. Invece si sbagliava, poiché nell’incontro contro la Francia la nazionale danese vinse per due reti a una e si qualificò per le semifinali. [Al tempo la formula prevedeva otto squadre in due gironi da quattro, con le prime due qualificate alle semifinali; NdR] I giocatori, sorpresi a loro volta di essere approdati alle semifinali con il ruolo di outsider del torneo, non presero la cosa come un importante segnale del destino. Erano tutti concentrati a preoccupati per un loro compagno di squadra, Kim Vilfort, difensore dalle buone qualità tecniche, che era stato investito durante il breve ritiro della nazionale da una terribile notizia sulla sua famiglia: sua figlia Line, di appena otto anni, era stata ricoverata in ospedale per una leucemia fulminante.

Grazie alla vicinanza tra Danimarca e Svezia, dopo ogni partita papà Kim rientrava a casa per stare con la sua bambina. Purtroppo la salute della piccola peggiorava, e i medici erano molto preoccupati che non ce la potesse fare.

Nel frattempo il torneo europeo proseguiva … La semifinale era contro una favoritissima Olanda, ricca di campioni come Van Basten e Gullit. Tutta la Danimarca si strinse intorno alla sua squadra e al dolore del difensore Vilfort. Dopo un combattutissimo incontro terminato due a due, i rigori diedero esito favorevole ai danesi. Il portiere Schmeichel parò un rigore tirato da Marco van Basten e la Danimarca si trovò in finale dei Campionati d’Europa contro la Germania mentre la vicenda personale di Kim continuava a consumarsi in modo drammatico. Line lo chiamava ogni giorno pregandolo di raggiungerla e Kim correva avanti e indietro tra le due nazioni, inseguito dal sogno della vittoria da una parte e dall’incubo del dolore indicibile della sua piccola che si stava spegnendo.

I danesi, seppur consci della potenza teutonica e dei suoi calciatori di straordinaria bravura, forse perché a quel punto non avevano più nulla da perdere, essendo giunti in modo del tutto imprevisto sulla vetta dell’Europa, scesero in campo determinati e concentrati. L’incontro, seguito con il fiato sospeso dall’intera Danimarca, divenne subito entusiasmante. Infatti, dopo soli venti minuti di gioco la Danimarca passò in vantaggio. I tedeschi provarono in tutti i modi a pareggiare, ma trovarono una difesa e soprattutto un portiere che «parava anche l’aria». A circa dieci minuti dalla fine accadde qualcosa che sembrava deciso dal cielo. Il numero 18 della Danimarca si ritrovò il pallone tra le gambe a seguito di un rimpallo di colpi di testa e, dribblando un difensore tedesco, lui che era un difensore calciò con la gamba sinistra senza essere mancino, spiazzò il portiere della Germania e infilò così il pallone in rete. Quel giocatore che non riusciva nemmeno a urlare tanto era emozionato ci chiamava Kim Vilfort.

I compagni lo sommersero di abbracci perché ora erano due reti a zero e mancavano solo pochi minuti al termine della partita. La telecamera inquadrò Kim che piangeva, ma tutti sapevano che non erano lacrime di gioia le sue. L’intera Danimarca pianse allora con lui in silenzio mentre il suo viso, in primo piano, lasciava vedere gli occhi rossi dal dolore. Lui, distrutto dal dolore, aveva fatto ciò che nessuno si sarebbe mai immaginato fosse possibile: aveva segnato il gol decisivo per vincere. La Danimarca diventò Campione d’Europa e la festa fu immensa. Da Cenerentola del torneo, chiamata all’ultimo per rimpiazzare la Jugoslavia, vinse nonostante tutte le previsioni più nefaste – Laudrup ancora oggi rimpiange di non essere stato in Svezia con i suoi compagni ad alzare la coppa.

Kim ritornò subito a casa e corse in ospedale per raccontare a Line l’incredibile storia che aveva appena vissuto. Lei guardò il suo papà eroe e si addormentò felice, mentre Kim le rimboccava le coperte. Purtroppo la malattia se la portò via pochi giorni dopo, ma Line aveva ricevuto le immagini del suo papà che correva da lei, dopo ogni partita, per accarezzarle i capelli e baciarle la fronte. Dal suo papà eroe che alzava la coppa al cielo in televisione, visto da decine di milioni di telespettatori.

Quel gol era il segno del destino, la conferma celeste della potenza dell’amore. Quella vittoria, unica e mai più ripetuta nella storia del calcio danese, era il sigillo di un popolo unito e raccolto intorno a quell’uomo, padre prima che calciatore, che con un’immensa forza e resistenza era riuscito a battere la Germania e ad accarezzare la sua bimba che si stava spegnendo in ospedale.

Questa è la storia di Kim Vilfort, che se non fosse stato un calciatore campione d’Europa nessuno avrebbe mai conosciuto. Una storia così toccante che, come un sasso lanciato in uno stagno, ha creato tanti cerchi nell’acqua, che piano piano si sono allargati, espandendosi, risvegliando migliaia e migliaia di esseri umani. Di anime addormentate.


Segue il film ispirato alla vicenda:



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