A Proprio Agio Con L’Insicurezza
da Jack Kornfield (psichiatra), Il Cuore Saggio, Corbaccio 2021, pp. 411-414
La sicurezza è sostanzialmente una superstizione. In natura non esiste, i bambini non ne fanno esperienza totale. Alla lunga evitare i pericoli non è più sicuro di quanto non lo sia esporsi direttamente a loro. La vita è un’avventura da osare, oppure niente. [Helen Keller]
Un giorno Ajahn Chan sollevò fra le mani una bellissima tazza cinese: «Per me questa tazza è già rotta. Dato che conosco il suo destino, posso godermela pienamente qui e ora. E, quando è andata, è andata». Quando comprendiamo la verità dell’incertezza e ci rilassiamo, diventiamo liberi.
La tazza rotta ci aiuta a vedere al di là dell’illusione di avere il controllo delle cose. Quando ci dedichiamo ad allevare un bambino, a metter su un’impresa, a creare un’opera d’arte, a raddrizzare un’ingiustizia, ci esponiamo a una certa misura di fallimento come di riuscita. È un insegnamento feroce, questo. Emilee è un’ausiliaria sanitaria; l’ospedale dove lavorava in Kosovo è bruciato fino alle fondamenta, eppure lei ha ricominciato. Sa che il suo lavoro consiste nell’aiutare le persone ad attraversare la riuscita come il fallimento. Rosa ha perso il suo più promettente studente di matematica ucciso in una sparatoria fra bande; ne ha avuto il cuore spezzato ma non ha mai rimpianto di essere stata sua insegnante e ora insegna a molti altri, in sua memoria.
Possiamo perdere la nostra migliore opera di ceramica nella cottura; la scuola pilota che abbiamo avviato con tanta cura può chiudere; l’impresa che abbiamo avviato può colare a picco; i nostri figli possono sviluppare problemi che vanno al di là del nostro controllo. Se ci concentriamo solo sui risultati saremo devastati. Se invece sappiamo che la tazza è già rotta, possiamo dedicare al processo in corso il nostro meglio, possiamo creare ciò che sta a noi creare e poi fidarci del processo ben più vasto della vita stessa. Possiamo pianificare, prenderci cura, rispondere ai bisogni, accudire – ma non possiamo controllare. Facciamo invece un respiro e apriamoci a ciò che accade là dove ci troviamo. Passare dalla presa stretta al lasciar andare è un mutamento profondo. Come dice Shunryu Suzuki, «quando comprendiamo la verità dell’impermanenza e vi troviamo la nostra compostezza, allora ci troviamo nel nirvana».
Quando qualcuno interrogava Ajahn Chan sull’illuminazione o su quello che accade al momento della morte, o gli chiedeva se la meditazione l’avrebbe guarito dalla malattia di cui soffriva o se gli insegnamenti buddhisti possano essere praticati ugualmente bene anche dagli occidentali, lui sorrideva e diceva: «Non si sa bene, vero?» Chögyam Trungpa chiamò questa incertezza «assenza di terreno di base». Con la saggezza dell’incertezza, Ajahn Chan poteva semplicemente rilassarsi. Intorno a lui si respirava un’enorme sensazione di agio; lui non «tratteneva il respiro» né cercava di manipolare gli avvenimenti, ma rispondeva di volta in volta alla situazione del momento. Una monaca anziana occidentale abbandonò il monastero per «rinascere» come missionaria cristiana, e poi tornò al monastero a cercare di convertire i suoi antichi amici; molti si indignarono: «Ma come può fare una cosa simile?!» Confusi, chiesero l’opinione di Ajahn Chan; lui rispose con una risata: «Chissà, magari ha ragione». A quelle parole si rilassarono tutti. Eppure Ajahn Chan, nel mezzo dell’incertezza, era anche capace di agire: sapeva pianificare la costruzione di un grande tempio o fare da supervisore alla rete degli oltre cento monasteri fondati dai suoi monaci. Quando disciplinava i monaci che si erano comportati male sapeva essere deciso, esigente e severo. Intorno a ogni sua azione, comunque, c’era un senso di spazio; sembrava che un attimo avrebbe potuto voltarsi indietro, sorriderti – magari con una strizzatina d’occhio – e dirti: «Non si sa bene, vero?» Era una dimostrazione vivente del segreto della vita che descrive la Bhagavad Gita: «agire bene senza attaccamento per i frutti dell’azione».
Si sviluppa la stessa fiducia espressa da Ajahn Chan ogni volta che la coscienza dimora in pace nell’eterno presente. «Da dove sto seduto», diceva lui, «non c’è nessuno che vada e nessuno che venga. Quando dimori in pace nella via mediana non c’è nessuno che sia forte o debole, giovane o anziano, nessuno che nasca o che muoia. Questo è l’incondizionato. Il cuore è libero». Gli antichi maestri zen la chiamano «liberazione della mente fiduciosa». Come si raggiunge questa saggezza? Come spiegano i testi zen, «Vivere nella mente fiduciosa significa non nutrire alcuna ansia per l’imperfezione. Il mondo è imperfetto. Invece di combattere per renderlo perfetto ci rilassiamo e dimoriamo in pace nell’incertezza. Allora possiamo agire con compassione e dare il meglio di noi, senza attaccamento per il risultato; allora possiamo entrare in ogni circostanza senza paura e con fiducia».
Quando Chas cominciò la pratica buddhista, la ditta di commercio telematico per cui lavorava era in difficoltà, il suo matrimonio gli sembrava spento, e lui pativa ancora le conseguenze di essere cresciuto accanto al padre sempre depresso. Si era rivolto alla pratica meditativa affinché l’aiutasse di fronte all’ansia per il futuro, all’insicurezza del suo matrimonio, alle tante volte in cui si sentiva collegato da sé stesso.
Chas aveva anche un senso del mondo profondamente mistico. Uno dei momenti più importanti della sua vita adulta fu un sogno su Katie, la figlia più piccola. A quattro anni Katie era stata ricoverata in ospedale per una meningite virale ed era andata in coma. Chas e sua moglie passavano la giornata accanto a lei; i dottori non erano certi delle sue possibilità di recupero. Dopo cinque settimane tutte uguali di infinita preoccupazione, Chas sognò la figlia che gli diceva: «Non preoccuparti, papà, va tutto bene». La mattina dopo, entrando nella stanza di Katie, la vide aprire gli occhi e sorridergli. Ora Katie è un’adolescente sana.
Chas aveva intravisto una verità: dietro a tutti i nostri piani c’è una grazia. Imparare a meditare risvegliò in lui questa fiducia; la pratica di consapevolezza lo sollevò dallo stress e gli fece cominciare a sentirsi il corpo e i sensi più aperti. In una sessione di meditazione raccontò di aver percepito il proprio corpo come un’alga laminaria, lunga e flessuosa, che fluttuava al di sotto della superficie ondosa. La sensazione di essere bloccato e pieno di ansia si era trasformata in momenti di interesse, curiosità e apprezzamento. Chas divenne meno preoccupato, più presente – più «succoso», si definiva lui. «Lasciar andare le mie paure è come togliermi un soprabito di ‘io’. Quando mi nascono pensieri e problemi che non riesco a risolvere, non mi si incollano addosso: dimoro tranquillo nella mente fiduciosa come un’alga nell’oceano». Ogni tanto Chas dice che se ne dimentica e allora torna a essere insicuro. La mente che si preoccupa prende il sopravvento: deve portare avanti il suo matrimonio? Deve continuare a lavorare in quel posto così incerto? Poi ricorda il sogno di sua figlia, allora si rilassa e dà fiducia al non sapere. «Per essere onesti, tutti i matrimoni e tutti i posti di lavoro sono insicuri!» dice.
Otto anni dopo, Chas è ancora sposato e lavora ancora in una ditta telematica, ora florida. La meditazione gli ha insegnato una fiducia che non è separata dall’insicurezza e dei paradossi della vita stessa.