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Owain Ddantgwyn, alias Artù

Owain Ddantgwyn, alias Artù

(di Graham Phillips, estratto da La Ricerca del Santo Graal, Sperling & Kupfer 1998)

[Nell’Appunto #1[1] abbiamo accennato al noto re britannico Artù e alla sua possibile identificazione con il guerriero veneto (o celto-veneto[2]) Owain Ddantgwyn, re del Gwynedd e del Powys detto “Arth” (lett. “Orso”). Se lì ci siamo affidati all’intuizione di Piero Favero da lui riportata ne L’Alba dei Veneti, qualche tempo dopo la prima edizione degli Appunti siamo entrati in possesso di una copia de La Ricerca del Santo Graal, ove Graham Phillips, sulla base di una ricerca puntigliosa da lui condotta in tandem con Martin Keatman, fornisce solide fondamenta alla medesima identificazione; N.d.C.]

Durante il medioevo, tra il XII e il XV secolo, i racconti aventi per soggetto il potente Re Artù furono numerosi, e assicurarono celebrità paneuropea a Camelot e ai Cavalieri della Tavola Rotonda. Molte tematiche di questi racconti arturiani sono con ogni evidenza invenzioni, ma un manoscritto assai più antico, compilato secoli prima che queste storie fantastiche fossero scritte, suggerisce che Re Artù abbia avuto esistenza reale. Nella Historia Brittonum, redatta dal monaco gallese Nennius verso l’830, Artù è citato semplicemente quale il guerriero britannico che sconfisse gli invasori anglosassoni nella battaglia di Badon, dopo che i Romani si erano ritirati dall’isola nel V secolo. Stando a quanto si legge nella Historia ecclesiastica gentis anglorum compilata dal Venerabile Beda, storico dell’VIII secolo anglosassone, la battaglia di Badon avrebbe avuto luogo nel 493, nell’alto medioevo, un turbolento periodo della storia britannica del quale restano pochi documenti scritti.

Dal momento che lo scontro in questione fu un evento storico, ricordato anche dal monaco e cronista britannico Gilda il Saggio nel suo De excidio et conquestu Britanniae ac flebili castigatione in reges, principes ac sacerdotes, scritto attorno al 545, quando era ancora ben viva la memoria della battaglia, molti storici oggi ammettono che Artù potrebbe essere stato davvero un capo britannico che guidò una delle ultime controffensive contro gli anglosassoni invasori. Inoltre, non soltanto sembra che un Artù storico sia effettivamente esistito, ma anche che alcune delle narrazioni a lui collegate possano essersi basate su eventi storici; così, per esempio, la leggenda di Excalibur può aver tratto origine da un antico rito funerario celtico.

Gli anglosassoni, originari della Germania e della Scandinavia, riuscirono a conquistare tutta l’Inghilterra, e i britanni, i celti indigeni, furono relegati in quello che è oggi il Galles. Siccome Artù a quanto sembra era stato un capo dei britanni, le leggende relative alle sue imprese pare siano sopravvissute soprattutto nel Galles, prima di diventare una ricca fonte di ispirazione per i romanzi medievali a partire dal XII secolo. L’origine di alcune di queste tematiche nel contesto dei racconti arturiani medievali può darsi debba pertanto reperirsi nell’antica tradizione gallese o celtica. […]

Il guerriero Artù, citato nella cronaca di Nennius scritta verso l’830, è esistito realmente? Molti studiosi si rifiutano di prendere in considerazione questa ipotesi, sostenendo che i romanzi arturiano sono troppo fantasiosi. Tuttavia, l’Artù di Nennius non è inserito in un contesto di magia e mistero, come invece in successivi racconti medievali, ma è ricordato in termini storici. Nennius cioè, lungi dal presentare un Artù romanzesco, si limita a descrivere un capo britannico che aveva combattuto con successo contro i sassoni.

Per contestualizzare il ruolo attribuito da Nennius ad Artù, è opportuno accennare alla caduta dell’Impero Romano e alle conseguenze che essa ebbe in Britannia.

Nel 395, l’Impero Romano fu diviso in due parti, l’Impero d’Occidente, con capitale Roma, e l’Impero d’Oriente, governato da Costantinopoli, l’attuale Istanbul. Nei primi anni del V secolo si profilò il crollo dell’Impero d’Occidente; sebbene esso resistesse per qualche altro decennio ancora, la sua struttura era definitivamente minata. La sua fine ebbe inizio con disordini causati dagli unni dell’Asia centrale. Sospinta inizialmente da una serie di disastrosi raccolti, questa fiera e bellicosa popolazione si scagliò contro i goti occidentali, che furono scacciati dalle loro terre. A loro volta, i goti vinti varcarono il Danubio e il Reno, obbligando altre etnie a migrare verso Occidente. Roma era ormai ridotta sulla difensiva, e le orde barbariche di ogni parte d’Europa cominciarono a penetrare attraverso le frontiere dell’Impero. Alarico, re dei visigoti, calò in Italia nel 401 e nel 408 pose l’assedio all’Urbe stessa; per respingere l’assalto, i romani si trovarono nella necessità di ritirare truppe da avamposti coloniali in Britannia.[3]

Ampiamente ridotte le forze romane, in territorio britannico ben presto si verificarono situazioni di emergenza. Al nord, i pitti della Scozia diedero inizio a una serie di incursioni sempre più audaci attraverso il Vallo di Adriano, e nel 410 i governanti romani della Britannia chiesero rinforzi all’imperatore Onorio. Questi, però, aveva ben altri problemi da affrontare, perché quello stesso anno Roma venne saccheggiata dai visigoti di Alarico. Non solo quindi nessun rinforzo poté essere inviato in Britannia, ma anzi da questa vennero richiamate le legioni che ancora vi si trovavano. In seguito al crollo dell’Impero d’Occidente le forze romane vennero completamente ritirate dall’isola.

La Britannia aveva fatto parte dell’Impero Romano per tre secoli e mezzo, e la struttura governativa a lungo aveva avuto a fondamento quella militare, situazione che aveva assicurato la stabilità per un periodo più esteso di ogni altro di cui si avesse localmente memoria. Ora, improvvisamente, questo supporto viene a mancare e il paese rischia di piombare in preda all’anarchia. Ogni britanno nato libero era stato cittadino romano, e ben pochi erano quelli che vedevano con favore la partenza delle legioni.

Le testimonianze attendibili di questo periodo della storia britannica sono scarse e disperse, ma un quadro complessivo lo si può ricavare da san Germano, vescovo di Auxerre, che nel 429 si recò in Britannia quale inviato della Chiesa cattolica. Stando al suo biografo Constantius, sebbene nel nord del paese si verificassero gravi disordini, in numerose località britanniche sussisteva un modo di vivere di tipo romano. Le cose, però, andarono rapidamente peggiorando in seguito al crollo definitivo dell’Impero d’Occidente.

La sua traballante struttura si frantumò completamente nel 476 quando Odoacre, un ufficiale sciro (od erulo), depose l’imperatore Romolo Augustolo e divenne re d’Italia. Volatilizzate per sempre le speranze di una rinascita imperiale, verso la fine del V secolo a quanto sembra crollò l’amministrazione centrale in Britannia. In molte regioni del paese si tornò a forme di aggregazione tribale e ben presto si imposero locali signori della guerra. Le contese territoriali erano all’ordine del giorno, e l’isola precipitò inesorabilmente nell’anarchia.

Nell’età oscura che seguì, ben poche cronache vennero redatte, e praticamente nessuna di esse ci è pervenuta. Il motivo principale della scarsissima conoscenza che abbiamo di questo periodo della storia britannica va ricercato nel fatto che il distacco da Roma isolò la Britannia dall’ambito degli scrittori mediterranei che costituiscono la principale fonte delle nostre informazioni sull’epoca. Ne consegue che gli eventi verificatesi in Britannia durante il V secolo sono tutt’altro che documentati; comunque, sembra certo che la parte settentrionale del paese subì ripetute incursioni da parte dei pitti, mentre la parte occidentale veniva invasa dagli irlandesi. Tuttavia, per la maggioranza dei britanni il problema più immediato era costituito dalle lotte per la supremazia regionale tra i capi indigeni, e fu in un paese frammentato che gli anglosassoni diedero inizio alle loro invasioni.

Abitanti costieri dell’attuale Danimarca e della Germania settentrionale cominciarono ad attraversare la Manica per stabilirsi nella Britannia orientale. Molti capi britannici, anziché tentare di respingere quegli indesiderati migranti anglosassoni, presero ad assumerli al proprio servizio quali mercenari, ricompensandoli oltretutto con terre in cui potevano insediarsi. Verso la metà del V secolo, tuttavia, gli anglosassoni stavano arrivando ormai in numero tale da provocare disordini e scontri, e quella che era iniziata come migrazione ben presto si trasformò in invasione. Per qualche decennio, le forze britanniche furono progressivamente sospinte, verso ovest, finché attorno al 490 diedero il via a una serie di controffensive coronate da successo.

Chiunque fosse a guidare i britanni nell’ultimo decennio del V secolo, era senza dubbio un formidabile condottiero; che i britanni fossero più forti e più uniti in questo periodo di quanto lo fossero stati prima è comprovato non soltanto da Gilda e dal Venerabile Beda, ma anche dai ritrovamenti archeologici. Per esempio, nel Lincolnshire e nell’East Anglia vennero erette enormi fortificazioni a terrapieno; il tracciato dei fossati difensivi nella parte orientale dimostra chiaramente che i valli avevano lo scopo di respingere attacchi da est, vale a dire dalla zona occupata dagli anglosassoni. Lungo la valle del Tamigi questi eressero terrapieni ad andamento lineare aventi lo scopo di segnare una stabile frontiera, una difesa contro i britanni che ormai senza dubbio avevano cessato di essere la moltitudine disordinata di pochi anni prima, anzi rappresentavano ormai una minaccia effettiva per i sassoni.

Le massicce fortificazioni britanniche comprovano l’esistenza di ampie riserve di manodopera, e i terrapieni sassoni attestano che i britanni disponevano di un forte esercito; entrambi questi fattori inducono a supporre una nazione unita e, cosa più importante ancora, un capo forte e deciso. Era questi il guerriero Artù citato da Nennius?

Uno dei principali motivi di dubbio circa l’esistenza di Artù consiste nel non aver ritrovato nessuna testimonianza scritta coeva del V secolo in cui si trovi il suo nome. D’altro canto, sono giunte fino a noi punte o poche testimonianze storiche relative a qualsiasi capo britannico del tardo V secolo, e ciò perché all’epoca il paese era frammentato in fazioni in guerra tra loro, e legge, ordine e amministrazione civile erano quasi inesistenti. Ne consegue che, se un Artù ci fu davvero, è molto improbabile che si possa trovarne qualche traccia in resoconti coevi.

A parte un paio di stringate allusioni in poemi bellici di quel periodo oscuro, il più antico accenno ad Artù a noi pervenuto è, lo ripetiamo, quello contenuto nella Historia Brittonum compilata da Nennius verso l’830. Quantunque lo scritto di Nennius non possa essere ritenuto prova sufficiente dell’esistenza di Artù, dal momento che fu vergato tre secoli dopo la battaglia di Badon, a dire dell’autore da lui combattuta, in esso non si trova nulla che induca a vedere in Artù un’invenzione. Introducendo un elenco delle battaglie sostenute da Artù, Nennius afferma:

<In quel periodo i sassoni si accrebbero in moltitudine e si rafforzarono in Britannia. Alla morte di Hengist, suo figlio Octha passò dalla parte settentrionale della Britannia nel regno dei Kentishmen [gli abitanti del Kent], e da lui discesero i re dei Kentishmen. Poi Re Artù combatté contro di loro in quei giorni insieme ai re dei britanni, ma egli stesso era la guida nelle battaglie.>

Tutto ciò che Nennius collega ad Artù sembra storicamente accettabile: entrambi i guerrieri sassoni da lui menzionati, Hengist e Octha, sono citati in fonti anglosassoni, ed entrambi vissero nella seconda metà del V secolo, vale a dire nel periodo in cui Nennius colloca Artù.

A parte gli scritti pervenuti fino a noi di qualche monaco, relativi per lo più a questioni ecclesiastiche, le uniche testimonianze di carattere militare riguardanti la seconda metà del V e la prima metà del VI secolo si ritrovano in opere compilate dagli anglosassoni. La più importante di esse è la Cronaca anglosassone, della quale sussistono diverse copie. Sebbene sembri basarsi su precedenti documenti monastici dei sassoni occidentali, essa su compilata solo durante il regno di Alfredo il Grande, vale a dire tra l’871 e l’899, a quanto pare sotto la personale supervisione di Alfredo stesso.

Il fatto che non vi si trovi alcun accenno ad Artù a lungo ha proiettato un’ombra di dubbio sulla sua storicità. D’altro canto, essendo l’opera con ogni probabilità un tentativo di Alfredo di celebrare le vittoriose imprese dei suoi antenati sassoni, è ragionevole supporre che egli non desiderasse affatto attirare l’attenzione sulle realizzazioni dei suoi avversari britanni. Infatti la Cronaca non menziona in pratica il nome di nessun capo britannico, e tanto meno di quelli che ebbero successo, uno dei quali, stando a Nennius, era appunto Artù. Ne consegue che la mancata citazione di Artù nella Cronaca non può essere usata quale argomentazione conclusiva contro la sua esistenza storica.

Anzi, convalidando Nennius, la Cronaca parla del re sassone Hengist. Da essa apprendiamo che le incursioni sassoni in Britannia ebbero inizio verso il 455, cominciando nel Kent, e che vennero guidate soprattutto dallo stesso Hengist fino al 480 circa. Ciò corrisponde esattamente al resoconto di Nennius, dove questi riferisce che Hengist fu il capo dei Kentishmen poco prima che Artù cominciasse la lotta contro i sassoni. Per la precisione, Nennius riporta che Artù combatté contro i sassoni una volta morto Hengist. La Cronaca afferma che egli morì nel 488, e anche questo corrisponderebbe alle campagne di Artù, se egli combatté la battaglia di Badon nel 493.

Sempre stando alla Cronaca, all’epoca del decesso di Hengist gran parte della Britannia meridionale e orientale era in mani anglosassoni, affermazione che coincide con l’evidenza archeologica, dalla quale risulta che fortificazioni di frontiera erano state occupate dai sassoni che si erano sospinti a occidente fino alla città di Bath. Sembra anche che fu appunto a Bath che si combatté la battaglia di Badon. Il nome moderno della città deriva dalle sue famose terme romane, cioè dai «bagni» che vi si trovavano. Ai sassoni era nota con il nome di Badanceaster, che a sua volta può essere derivato del termine originario britannico baddon, appunto «bagno», tuttora vivo nel moderno gallese.

Riscontri archeologici mostrano che alla fine del V secolo i sassoni per qualche decennio dovettero ritirarsi, cosa che ancora una volta coincide con la documentazione di una grande vittoria britannica all’epoca della battaglia di Badon. Il fatto che nella Cronaca non si trovi nessun accenno alla battaglia stessa ancora una volta dimostra che i suoi compilatori decisero di sottacere i successi britannici di quei tempi.

Siccome Nennius afferma che Octha era succeduto a Hengist all’epoca in cui Artù conduceva le sue azioni, possiamo supporre che questi combatté appunto contro Octha. Di nuovo, questi è una vera figura storica. Un manoscritto sassone del IX secolo, noto come il Cotton Vespasian, oggi conservato alla British Library, contiene un elenco dei re e dei vescovi dell’alto medioevo, tra cui Octha, di cui si dice che succedette a suo padre Hengist. Dal momento che la datazione di Nennius è coerente con la Cronaca, e i due altri guerrieri da lui nominati in una con Artù risultano essere storicamente autentici, si direbbe che non ci siano ragioni concrete per dubitare del suo accenno ad Artù come il più importante capo britannico nell’ultimo decennio del V secolo. […]

La Britannia nel V secolo era […] ben lontana dall’essere una nazione, suddivisa com’era in regni minori. Dovettero passare secoli prima che l’Inghilterra e il Galles divenissero paesi degni di tal nome. L’Inghilterra venne in essere allorché gli anglosassoni si fusero in un’unica nazione, mentre i britanni indigeni, vale a dire i celti che un tempo dominavano tutta l’Inghilterra e il Galles, divennero noti come welsh, dalla parola sassone weala che significava «stranieri». Di conseguenza, fino alla metà del XII secolo le imprese di Artù, un britanno, sopravvissero soprattutto in racconti gallesi, prima di essere riprese e rielaborate da scrittori di Inghilterra, Francia e Germania nelle vicende romanzesche di un monarca feudale medievale.

E allora, chi era codesto Artù, apparentemente il capo dei britanni alla battaglia di Badon nel 493? […] Stando a Nennius, Artù era il «capo in battaglia» dei britanni, presumibilmente il personaggio più potente tra i britanni stessi. Di conseguenza, […] è d’obbligo stabilire da dove potesse provenire il più influente capo britannico dell’epoca. […]

Stando alla leggenda, Artù sarebbe nato nel castello di Tintagel in Cornovaglia, avrebbe regnato da Camelot a Winchester e sarebbe stato sepolto a Glastonbury nel Somerset. Tuttavia, i castelli di Tintagel e di Winchester furono costruiti sei secoli dopo il periodo in cui Artù sarebbe vissuto, mentre la scoperta della sua tomba nell’abbazia di Glastonbury nel 1190 è generalmente ritenuta una mistificazione medievale per attrarre pellegrini. Nella migliore delle ipotesi, siccome né della croce né delle ossa che i monaci sostenevano di aver trovato si ha più notizia, non esiste alcuna prova né dell’una né delle altre. […] Inoltre nulla comprova che un luogo chiamato Camelot sia mai esistito. Il primo dei romanzi arturiani medievali non ne fa alcuna menzione. Il primissimo impiego di Camelot quale denominazione della corte di Artù si ha in Lancelot ou Le Chevalier à la charrette (Lancillotto o il cavaliere della carretta) di Chrétien de Troyes, scritto verso il 1180, dove compare una sola volta e di sfuggita. Il nome fu adottato poi da quasi tutti gli autori. Siccome sembra che Chrétien abbia inventato Camelot nel XII secolo, di per sé il nome difficilmente può essere di aiuto nella ricerca del campo base di un guerriero vissuto sette secoli prima. […] Tanto più che tutti i romanzieri descrivono particolareggiatamente la splendida città e il suo impareggiabile castello, ma non ne specificano mai il sito.

Se l’Artù storico era davvero il più potente capo, ne consegue che la sua residenza dovesse essere la roccaforte più importante e possente. E allora, qual era la principale città britannica ai tempi di Badon? Stando alla prospezione archeologica, si direbbe che fosse la città romana di Viroconium, […] nelle Midlands.

Durante l’occupazione romana, la Britannia era stata divisa in distretti noti come civitates, ciascuno basato su preesistenti aree tribali e governato da una capitale amministrativa. Le quattro città principali erano Londra, Lincoln, York e Viroconium. Da Gilda, dal Venerabile Beda e dalla Cronaca sappiamo che, mezzo secolo dopo il ritiro dei romani nel 410, Londra e Lincoln vennero occupate dagli anglosassoni, mentre York veniva saccheggiata dai pitti. Sebbene altri centri maggiori, come Cirencester ed Exeter, fossero relativamente al sicuro da attacchi, si potrebbe quindi supporre che sia stata Viroconium ad assumere la massima importanza.

La posizione di Viroconium sulla mappa

A differenza di Londra, Lincoln e York, a tutt’oggi città fiorenti, di Viroconium attualmente non restano che le mura in rovina, sorgenti in una tranquilla zona agricola appena fuori dal villaggio di Wroxeter nello Shropshire, a circa otto chilometri a sudest di Shrewsbury. I resti visibili di Viroconium sono quelli di un grande complesso di terme costruito verso il 150; le antiche strutture in mattoni, che ancora dominano il sito, noto localmente con il nome «Old Work», erano un tempo il muro meridionale di un vasto palazzo a navate (denominato «la basilica») adibito a palestra per le terme stesse. Dal momento che si levano in aperta campagna, le rovine di Viroconium hanno offerto un’eccellente opportunità di scavi, e nell’ultimo secolo molte ricerche archeologiche vi sono state infatti condotte. Oggi, il sito è aperto al pubblico e vi si trova anche un piccolo museo dove è esposta una parte dei reperti rinvenuti, sebbene la maggior parte di essi sia ospitata nel Rowley’s House Museum a Shrewsbury.

Verso la fine degli anni Sessanta, sul sito è stato intrapreso un nuovo scavo che è proseguito per oltre un decennio, e ha restituito una cospicua documentazione del fatto che la città continuò a essere un capoluogo amministrativo altamente urbanizzato anche dopo che altre città romane erano state del tutto abbandonate. Inoltre, sembra che verso il 420, mentre altrove i centri romani cadevano in rovina, Viroconium sia stata addirittura ricostruita.

Dalle buche scavate per conficcare pali e da altre significative indicazioni delle fondamenta e delle costruzioni della città, si deduce che gli edifici del V secolo erano stati costruiti in legno, non già in mattoni intonacati, a differenza di quelli della precedente città romana. Erano complesse costruzioni di vaste dimensioni, di struttura classica, con colonnati e facciate rispondenti a un ordine preciso, e molte si articolavano su almeno due piani. Non soltanto erano stati eretti nuovi edifici e tracciate ex novo strade, ma anche le infrastrutture di Viroconium avevano subito un ripristino. Nuovi sistemi fognario e di fornitura di acqua sono stati installati ricorrendo a un complesso insieme di acquedotti, e lunghi tratti delle strade lastricate romane erano stati dotati di una nuova copertura. Il centro nevralgico della nuova Viroconium era costituito da un grande edificio munito di ali eretto sul sito della «basilica»; accompagnata da un insieme di edifici adiacenti e di fabbricati annessi, questa struttura in stile classico sembra essere stata il palazzo di una serie di importanti capi postromani. A quanto afferma il direttore degli scavi, Phillip Barker, potrebbe essere stato uno degli ultimi edifici classici sorti in Britannia.

 Viroconium è di gran lunga lo stanziamento dell’alto medioevo più complesso finora riportato alla luce. Sembra essere stata non soltanto la principale città della Britannia del V secolo, ma anche essere rimasta tale ancora per molto tempo dopo la battaglia di Badon. Di conseguenza, il suo imponente palazzo era probabilmente la residenza del più importante capo dei britanni. In altre parole, posto che Artù sia realmente esistito, la città di Viroconium è la più credibile aspirante alla qualifica di sede del suo potere, la Camelot storica.

<Perché hai sguazzato nel sudiciume della tua trascorsa perfidia fin dalla tua gioventù, tu orso, guida di molti e auriga del carro della roccaforte dell’orso?[4]>

Questo passo, dovuto alla penna di un oscuro monaco e cronista britannico vissuto attorno alla metà del VI secolo, può contenere una chiave di importanza fondamentale per scoprire la vera identità del misterioso Re Artù. Tale la conclusione a cui siamo giunti tentando di individuare il più probabile capo britannico alla battaglia di Badon, vale a dire il più potente signore della guerra dell’isola, e di conseguenza il più promettente candidato alla qualifica di Artù storico.

Nel VI secolo, la Britannia era frazionata in una serie di piccoli regni, e verso il 545 il monaco Gilda riporta i nomi dei sovrani dei più importanti di essi. Ciò a distanza di solo una generazione da Badon, ed è dunque tutt’altro che improbabile che sia stato il più influente di quei governanti a riportare la vittoria britannica nella battaglia.

Gilda racconta che il re più potente era Maglocunus, ricordato sia da Nennius sia dai Welsh Annals del X secolo, oggi alla British Library, quale signore del Regno di Gwynedd nel Galles settentrionale. Sempre stando a Gilda, Maglocunus aveva conquistato il potere sconfiggendo in battaglia il proprio zio. Nel suo De excidio et conquestu Britanniae, Gilda rimprovera Maglocunus con queste parole:

<Nei primi anni della tua gioventù, tu schiacciasti il re tuo zio e i suoi valorosi soldati con fuoco, spada e lancia.>

Dal momento che Maglocunus era ormai di mezza età quando Gilda scriveva ed è definito un giovane all’epoca in cui aveva rovesciato il proprio zio, ne consegue che l’evento deve aver avuto luogo agli inizi del VI secolo. Ciò significa che lo zio di Maglocunus quasi certamente apparteneva alla stessa generazione dei britanni che avevano combattuto a Badon. Siccome Maglocunus divenne il re più potente dopo averlo sconfitto, lo zio può essere stato effettivamente il comandante britannico durante la battaglia. Lo zio di Maglocunus era dunque l’Artù storico? Purtroppo, Gilda non ne fa il nome, e tutto ciò che possiamo dire è che, a quanto sembra, era stato un valente capo che Gilda ammirava.

Degno di nota il fatto che codesto zio abbia qualcosa in comune con l’Artù leggendario. Una storia affine di lotta intestina si ritrova nei romanzi medievali, nei quali Artù muore quando suo nipote tenta di impadronirsi del trono. Anche se nei romanzi il nome del nipote di Artù è Mordred, la leggenda originaria si era forse fondata sul Maglocunus storico? […]

Un altro potente capo nominato da Gilda era Cuneglasus, signore di un regno separato, ma non nominato, nello stesso periodo in cui Maglocunus regnava su Gwynedd. Cuneglasus è ricordato in una genealogia contenuta nei Welsh Annals, dove viene indicato quale cugino di Maglocunus. Il padre di Cuneglasus può pertanto essere stato lo zio di Maglocunus, e il fatto che Cuneglasus fosse un possente e autonomo sovrano rende più che mai probabile che sia stato suo padre a perdere il trono usurpato da Maglocunus. In altre parole, il padre di Cuneglasus era il sovrano di un regno che, dopo la sua morte, fu diviso in due reami separati: suo figlio gli succedette direttamente sul trono di uno, mentre suo nipote si impadroniva dell’altro.

Riferendoci quindi a quanto scritto da Gilda, che costituisce la fonte storica coeva più completa a tutt’oggi, il padre di Cuneglasus è pertanto il più probabile candidato alla figura del più potente sovrano britannico durante la presunta era arturiana. Ma chi era in realtà? Nei Welsh Annals, il padre di Cuneglasus è indicato con il nome di Owain Ddantgwyn. Ben pochi dubbi possono sussistere circa il fatto che questo fosse davvero il suo nome, dal momento che anche quattro diverse genealogie dell’alto medioevo lo registrano come tale. Di conseguenza, a prima vista si direbbe che il più potente capo all’epoca di Badon in fin dei conti non avesse nome Artù. D’altro canto, se esaminiamo il nome Artù scopriamo che può darsi non fosse affatto un nome di persona bensì un nome di battaglia, un titolo.

Vari storici hanno teorizzato che «Artù» fosse un derivato britannico del nome romano Artorius: ipotesi che ha avuto larga diffusione in seguito alla pubblicazione, avvenuta nel 1973, del poema Artorius in dodici parti di John Heath-Stubbs, al quale ha fatto poco dopo seguito Artorius Rex di John Gloag, dato alle stampe nel 1977. È stato fatto rilevare che un soldato romano a nome Lucius Artorius Castus prestò servizio quale ufficiale in Britannia verso la fine del II secolo, e che un altro a nome Artorius Justus si trovava sull’isola nel III secolo, ma non ne consegue per forza di cose che Artorius fosse la versione originale del nome Artù. Sembra infatti più probabile che il nome Artù sia derivato dalla parola arth, un antico vocabolo britannico tuttora presente nel gallese moderno, che significa «orso».

Da numerose fonti risulta che i guerrieri britannici dell’alto medioevo facessero uso di nomi di battaglia animali, come del resto i pellirosse dell’America settentrionale, che venivano designati come Cavallo Pazzo, Aquila Bianca e Toro Seduto. Da poemi guerreschi altomedievali come il Gododdin, attribuito al bardo Aneirin del VII secolo, apprendiamo che a molti signori della guerra dell’alto medioevo veniva associato il nome di un animale, che in qualche modo ne personificava le qualità.

Nel Gododdin si narra la sorte di un gruppo di guerrieri del regno omonimo nella Scozia meridionale che verso il 600 si accinsero ad affrontare gli anglosassoni. Due copie del poema risalenti alla metà del XIII secolo sono conservate nella biblioteca pubblica di Cardiff. Tuttavia, stando allo stile della composizione e alla grafia dei nomi, si ritiene che il Gododdin sia stato composto nella prima metà del VII secolo. In esso, i guerrieri sono indicati con nomi di battaglia come Cane e Lupo, e uno è appunto chiamato Orso. Sebbene codesto particolare guerriero sia vissuto in epoca troppo tarda per poter essere stato l’Artù storico, il Gododdin comprova con ogni evidenza che «Orso» era usato quale nome di battaglia dai britanni durante l’alto medioevo.

Anche Gilda si serve dei nomi di battaglia dei capi da lui citati. Così, per esempio, chiama Maglocunus il Drago, e significativamente Cuneglasus l’Orso. A quanto si sa di Maglocunus, sembrerebbe che questi nomi di battaglia fossero ereditari, poiché è noto che i suoi discendenti continuarono a insignirsi del suo titolo di Drago. I discendenti in questione, infatti, finirono per conquistare gran parte del Galles e il loro emblema è tuttora presente sullo stendardo nazionale gallese.

È quindi possibile che anche Cuneglasus avesse similmente ereditato il nome di battaglia di suo padre. Infatti Gilda, nella citazione pocanzi riprodotta, suggerisce appunto questo, sottintendendo che Cuneglasus, l’Orso, è ora a comando di una fortezza già nota come «roccaforte dell’Orso». In altre parole, aveva ereditato una roccaforte da un precedente Orso, presumibilmente suo padre Owain Ddantgwyn.

Sicché Owain, il principale candidato al ruolo di comandante britannico nella battaglia di Badon, può davvero essere stato chiamato Arth, nome che non è escluso sia stato alterato e trasformato nel più lirico Artù all’epoca in cui Nennius compilava la sua opera tra secoli più tardi. Infatti, leggende superstiti suggeriscono proprio questo. Nel folclore della Cornovaglia, la costellazione dell’Orsa Maggiore, il Grande Orso, è chiamata Arthur’s Wain, ovvero «Carro dell’Orso». Inoltre, l’iniziatore dei romanzi arturiani nel XII secolo, Goffredo di Monmouth, afferma che Merlino aveva profetizzato l’avvento di Artù dopo aver avuto la visione di un orso tra le stelle. Entrambi questi riferimenti leggendari, che in apparenza accoppiano Artù con la costellazione dell’Orsa Maggiore, comprovano chiaramente che egli era associato a un orso assai prima che i romanzi acquistassero popolarità da un capo all’altro d’Europa.

Dunque, Owain Ddantgwyn ci sembra essere il candidato più accettabile per il ruolo dell’Artù storico. I documenti storici e archeologici hanno già dimostrato che la città di Viroconium era la più probabile sede del guerriero sul quale si basarono le leggende di Artù. Nella seconda metà del V secolo, come si è detto, la Britannia era frammentata in piccoli regni, e Viroconium divenne la capitale di quello che geograficamente le si estendeva attorno, il reame di Powys. Oggi il nome è passato ad indicare una contea gallese, ma in origine Powys comprendeva gran parte delle Midlands occidentali e del Galles centrale. Ciò che a questo dobbiamo verificare è se Owain Ddantgwyn fosse stato effettivamente re di Powys.[5] […]

Sappiamo che Owain era sovrano di un regno che comprendeva Gwynedd nel Galles settentrionale, e che Maglocunus dopo la sua morte aveva assunto il dominio di quella zona. Ma il regno di Owain comprendeva anche quello che in seguito sarebbe diventato il reame separato di Powys? Da Gilda apprendiamo che il figlio di Owain, Cuneglasus, governava un regno che alla metà del VI secolo era stato separato da Gwynedd: purtroppo, Gilda non fornisce il nome del regno di Cuneglasus, limitandosi a indicare che includeva ciò che in suo passo designa come la «roccaforte dell’Orso». Questa misteriosa fortezza era una cittadella del Powys? O anzi, la stessa Viroconium era la «roccaforte dell’Orso»?

All’epoca in cui Gilda scriveva, i cinque più potenti regni britannici erano Gwynedd nel Galles settentrionale, Powys nell’Inghilterra centrale, Dumnonia in Devon e Cornovaglia, Gwent nel Galles sudorientale e Dyfed nel Galles sudoccidentale. Siccome Maglocunus regnava su Gwynedd, e Gilda afferma che un Costantino regnava su Dumnonia e un Vortipor su Dyfed, è assai probabile che Cuneglass esercitasse il proprio dominio su Powys o Gwent. E poiché entrambi codesti regni a quanto sembra avevano comuni confini con Gwynedd, sia l’uno che l’altro possono essere stati la seconda metà geografica del regno su cui aveva esercitato il proprio dominio Owain Ddantgwyn.

La famiglia di Cuneglasus, tuttavia, può essere senz’altro collegata al regno di Powys a causa del prefisso Cun presente nei suoi nomi. Nell’antica favella britannica, il britonico (brythonic), come pure nel gallese moderno, la sillaba Cun è pronunciata Cyn. Infatti, in più di una genealogia gallese Cuneglasus è indicato come Cynglasus o Cynglas. Un antico poema guerriero gallese, The Song of Llywarch the Old (Il Canto di Llywarch il Vecchio, oggi alla Bodleian Library), che si crede composto verso l’850, chiama Cynddylan il sovrano di Powys alla metà del XII secolo, aggiungendo che i suoi predecessori immediati erano Cyndrwyn e Cynan. Anche i Welsh Annals collegano la famiglia con il Powys, laddove riferiscono che «Cynan re di Powys morì a Roma nell’854». Lo stesso poema afferma che i re di Powys erano gli «eredi del grande Artù». Siccome non è stato scoperto nessun documento del genere in base al quale collocare nel Gwent la stirpe di Cuneglasus, sembrerebbe quasi certo che costui sia stato un re di Powys.

Sotto il profilo archeologico, la recente opera di K.R. Dark, direttore del Journal of Theoretical Archaeology, pubblicata nel 1994 e intitolata Civitas to Kingdom, istituisce anch’essa un nesso tra Cuneglasus e Powys, ipotizzando non soltanto che il primo fosse un capo powysiano, ma anche che Viroconium fosse «il centro politico del regno powysiano nel V secolo».

Sembra dunque abbastanza attendibile che Cuneglasus fosse stato il sovrano del regno di Powys, ma si deve supporre che suo padre Owain Ddantgwyn avesse in precedenza regnato sulla stessa regione? Anche in questo caso, la documentazione archeologica appare persuasiva. Un re il cui nome recava il prefisso Cun fu sepolto a Viroconium verso il 480, a quanto sembra prima del regno di Owain Ddantgwyn. Nel corso degli scavi condotti a Viroconium nel 1967, una lapide tombale databile al 480 circa è stata scoperta appena all’esterno dei bastioni cittadini, ed essa reca l’iscrizione Cunorix macus Maquicoline, vale a dire: «Re Cuno figlio di Maquicoline».[6]

Sembra dunque più probabile che Owain Ddantgwyn, il più attendibile candidato al ruolo di Artù, governasse il Powys dalla città di Viroconium, la più probabile residenza storica del capo britannico al tempo in cui, secondo Nennius, sarebbe vissuto Artù. In altre parole, stando ai dati archeologici e storici, Owain regnò nel luogo giusto nel periodo giusto per essere stato l’Artù indicato da Nennius.


[1] D. Marin, Appunti di Storia Proibita, SoleBlu 2022, App. #1.

[2] Sulla commistione tra Veneti e Celti, cfr. D. Marin, Cronache del Dominio, sec. 2.6 “Veneti”, p. 64.

[3] L’occupazione romana della Britannia era iniziata intorno al 43 d.C. e si sarebbe conclusa nel 410.

[4] Gilda, De excidio et conquestu Britanniae (La rovina e la conquista della Britannia), 545 ca.

[5] Gli Annali riportano che Owain Ddantgwyn sconfisse in battaglia il precedente re del Powys, Vortigern, sicché è verosimile che lo stesso ne abbia inoltre guadagnato la corona.

[6] Potrebbe trattarsi di Cunedda, padre di Einion Yrth (Uther Pendragon) che fu padre di Owain Ddantgwyn, ovvero il nonno del presunto Artù. In precedenza Cunedda aveva regnato sui Veneti dell’Angus (Scozia) stabilendo rapporti amicali con i Pitti, tanto che le cronache confondono talvolta i due popoli. Aveva tuttavia avuto la peggio negli scontri che avevano seguito l’invasione dei Milesi (Scoti) dall’Irlanda, ed era stato costretto a spostare la propria gente nel Gwynedd. I Veneti erano giunti nell’Angus dallo Jutland, dopo che gli Elleni avevano conquistato la regione nel 2193 a.C. e ne avevano tradotto il nome in Etolia. Da qui, oltre che nell’Angus, la “diaspora” aveva condotto i Veneti in Armorica (dove li avrebbe combattuti Giulio Cesare), nel Donegal irlandese, nella Curlandia baltica e in Pomerania (e da qui nel Nord Italia dopo il 1200 a.C.). Cfr. D. Marin, Platone nel Baltico, SoleBlu 2022. Cunedda aveva inoltre sangue ebraico, poiché la sua famiglia originava dall’unione di Bran Fendigaid “il benedetto” (già principe dell’Angus) con Anna ben Cleopa, che secondo i Vangeli sarebbe stata cugina di Gesù il Nazareno.

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