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La Società Degenere e la Fine della Morale
Vi è nell’essere umano, una volta soddisfatti i bisogni di sopravvivenza fisica, una ben radicata spinta all’ottenimento di un significato per la propria esistenza. Ciò si realizza in due modi radicalmente differenti a seconda che tale esistenza si sviluppi nel contesto di una società che valorizza i particolarismi o di una che tende all’indifferenziazione.
Nel primo caso il soggetto scopre la diversità negli uomini che lo circondano; nota una varietà di razze, tradizioni, attitudini e talenti. Inizia perciò a pensare che egli stesso definisca qualche cosa di diverso o comunque raro. Si sofferma a scoprire le proprie doti e le proprie passioni e le sviluppa, e così facendo si accorge di possedere un “tesoro” utile alla collettività e si responsabilizza per preservarlo e garantirne la trasmissione. In questo modo si responsabilizza verso i propri simili, riconosce il proprio ruolo come determinante e sviluppa una morale. La società tutta si evolve.
Nel secondo caso, il soggetto, non potendo sopprimere la spinta alla propria significazione, è costretto a deviare verso l’identificazione, la quale avviene usualmente verso il suo incarico lavorativo (io sono “l’avvocato”, io sono “il responsabile”), verso un impegno comunitario (io sono “il sacrestano”, io sono “il tesoriere dell’associazione”), o verso un ruolo famigliare (io sono “il padre”, io sono “il marito”, io sono “il fidanzato”). Tale identificazione è solitamente una sola, e pertanto rende la stabilità dell’individuo precaria; allo stesso tempo è comune a molti soggetti, sicché l’individuo non matura alcun tipo di responsabilità morale, in quanto ci sarà sempre qualcun’altro in grado di svolgere la sua funzione. In tale stato, il soggetto vive una condizione pericolosissima. Se la sua identificazione viene messa a rischio, ad esempio se il partner paventa di rompere il fidanzamento, il soggetto percepisce un pericolo per la propria esistenza, nella sua interezza, ed è pertanto “costretto” a difendersi. Può ad esempio uccidere il partner, così che questi almeno non rimanga a sottolineare la sua “morte” esistenziale, confidando in un periodo di catalessi nel quale una nuova identificazione possa sostituire la prima. Peraltro ciò è facilitato dalla mancanza di moralità che consegue all’identificazione. C’è infine un terzo fattore di rischio, che deriva dalla disposizione di un “extra” energetico che era prima occupato nell’identificazione e che adesso, non trovando un utilizzatore nella coscienza, può riversarsi nell’inconscio collettivo, sfociando in figure archetipali come quella del “giustiziere”, con ulteriori rivolgimenti violenti.
Guardatevi da chi utilizza i casi di cronaca per omogeneizzare ulteriormente la società, accollando le colpe ad una presunta discriminazione di razza, religione, sesso o tradizione. Tale direzione è solo un passo in avanti verso il precipizio, e poiché ciò che scrivo non è frutto di genio ma di riflessione ordinaria, potete certamente scorgere il piano che soggiace a tali manovre.