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Mindfulness

Mindfulness è la parola inglese per “consapevolezza”, il cui utilizzo più recente è ad indicare un atteggiamento di “totale presenza” che si coltiva attraverso la pratica meditativa. Nella forma importata in occidente dallo psichiatra Jon Kabat-Zinn, tale atteggiamento sottintende i fondamentali precetti della pratica buddista ZaZen e dello Yoga indù (in cui le posizioni del corpo devono essere intese come un mezzo per favorire opportuni stati mentali). Benché introdotta negli Stati Uniti solo negli anni ’70,  alcune idee della Mindfulness erano già presenti negli insegnamenti di derivazione cristiano-gnostica impartiti da G. I. Gurdjieff al Prieuré di Fontainbleu-Avon dal 1922.

Attraverso la Mindfulness, il praticante si rende conto di come abbia sempre vissuto con il pilota automatico, secondo una catena di stimoli e risposte sulle quali non ha mai esercitato alcun controllo. La meditazione permette di interrompere la catena e di osservare. Allora il praticante si accorge di potersi “guardare da lontano”, scoprendo come la sua mente accolga numerosi ospiti (pensieri, emozioni, sensazioni), ma come egli non sia nessuno di questi ospiti. Il praticante osserva senza lasciarsi coinvolgere, non entra negli ospiti né si identifica con loro, li accetta ma non li trattiene. Egli si esime inoltre da qualunque giudizio o ragionamento. Egli sà che non deve provare vergogna per ciò che sente, né averne timore, né astio. Imparerà a NON dire “mi vergogno”, “ho paura” o “sono arrabbiato”, ma piuttosto “c’è della vergogna”, “c’è della paura”, “c’è della rabbia”. Imparerà a riconoscere i suoi ospiti, a chiacchierare con loro; comprenderà da dove sono venuti e che cosa portano veramente; che cosa insegnano e che cosa nascondono. Non giudicando i propri ospiti imparerà a non giudicare gli ospiti delle persone che incontra, dagli amici, ai parenti, ai colleghi di lavoro. Non giudicando gli altri sarà più propenso ad amarli, ed amandoli sarà più propenso a lasciarsi andare, ad aver fiducia nel mondo e nel significato dell’esistenza. Non giudicando, non ha timore di essere giudicato. Guadagna autostima ed autoefficacia.

Osservando sé stesso il praticamente apprende a vivere il momento, senza rimpianti né aspettative, acquisendo la capacità non solo di accettare il presente, ma soprattutto di scovarne l’immenso potenziale. Vivere nel presente vuol dire avere piena coscienza del nostro corpo, della nostra mente (delle nostre potenzialità) e dei reali sentimenti di chi ci circonda. Consente in primis di sperimentare la serenità (uno stato d’animo “eterno” che dipende unicamente da noi stessi), mentre in secundis favorosce scelte appropriate per il futuro (ancorate su un presente reale e non illusorio). Un uomo sereno può godere pienamente degli istanti di felicità che le sue scelte comportano, nella piena consapevolezza che la felicità (come la tristezza) è il risultato di un evento limitato nel tempo e che pertanto è limitata essa stessa. Per la stessa ragione non soccombe alla tristezza, osservandola con curiosità come un treno di passaggio.

L’uomo consapevole è l’uomo che non fugge. Accetta la realtà, sa di poterla accettare e accettandola di poterla migliorare. Non ha bisogno di alcuna droga. Non deve fare selfie al suo cibo o ai locali che frequenta per mostrare al mondo una felicità fittizia. L’uomo consapevole sa trarre piacere da quanto lo circonda. L’uomo consapevole è efficace, ma sa anche stare immobile in silenzio. L’uomo consapevole è leggero.


Come si legge in J. Kavat-Zinn, Vivere Momento per Momento (Corbaccio 2021), la pratica meditativa quotidiana ricostruisce i telomeri (fa ringiovanire), incentiva la produzione di nuovi neuroni e sinapsi, riduce la frequenza e l’intensità dei dolori cronici, rafforza il sistema immunitario e riduce l’impatto degli stressori su mente e corpo.

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